Presentate a Bruxelles le buone pratiche dei corridoi umanitari

L’iniziativa della Comunità Papa Giovanni XXIII. Il presidente Ramonda: «Stiamo assistendo a un fenomeno epocale, non più un’emergenza»

Presentate ieri, 4 dicembre, a Bruxelles dalla Comunità Papa Giovanni XXIII le buone pratiche dei corridoi umanitari: vie legali e sicure che permettono ai profughi un ingresso sul territorio italiano con visto umanitario. «Un’eccellenza italiana – spiegano dalla Comunità – che affronta in modo innovativo una delle maggiori criticità a livello planetario: la gestione dei flussi migratori». In seguito ad una fase di ricerca, sono state individuate le procedure standard di realizzazione dei corridoi umanitari con l’obiettivo di costituire un punto di riferimento operativo per l’implementazione del modello, e soprattutto al fine di renderlo replicabile in qualsiasi Stato europeo e a favore di rifugiati di diversa provenienza.

«Stiamo assistendo ad un fenomeno epocale, non più un’emergenza – spiega Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità fondata da don Oreste Benzi -. L’Onu parla di 68 milioni di profughi nel mondo. Persone costrette a scappare dalla loro terra per fuggire da guerre e persecuzioni – prosegue -. Davanti a questo problema non si può pensare solo di chiudere frontiere ma occorre gestire in modo regolato l’immigrazione e l’integrazione, aprendo vie legali e sicure per arrivare in Europa e sottrarre questa povera gente dalle mani dei trafficanti di uomini».

Nel manuale “Corridoi umanitari: le procedure di implementazione per la loro estensione su scala europea” – elaborato dalla Comunità Papa Giovanni XXIII nell’ambito del progetto Humanitarian Corridors – Upscale a promising practice for clearly linked pre-departure and post-arrival support of resettled people -, si sottolinea il sistema della sponsorhip. «L’idea – spiegano dalla Papa Giovanni XXIII – è che non siano solo gli Stati ad occuparsi di quali e quanti profughi fare arrivare sul territorio europeo. La società civile, in questa formula di accoglienza, può giocare un ruolo primario». Cittadini, associazioni, enti no-profit, parrocchie «hanno la possibilità di intervenire nel fenomeno migratorio da protagonisti. Possono farsi garanti dell’accoglienza e integrazione dei migranti mettendo a disposizione risorse e soluzioni».

Ancora, un’altra caratteristica emersa che sottolinea la centralità della società civile è il finanziamento dell’operazione a carico delle organizzazioni proponenti, senza alcun onere finanziario per lo Stato. «Un’accoglienza diffusa, fatta di persone che sono vicine ai profughi, che formano un nucleo umano affettivamente coinvolto nell’accogliere. Una coesione sociale che ha funzionato ed ha prodotto piccole ma significative storie di integrazione», le parole di Ramonda.

5 dicembre 2019