Prendersi cura di sé per prendersi cura dei figli

Una buona genitorialità è un cammino graduale per trovare il passo giusto, per sintonizzarsi con le esigenze del figlio, guidando senza soffocare

Non possiamo dare ciò che non abbiamo. Potrebbe sembrare un pensiero semplicistico, quasi banale ma nasconde, invece, un interessante spunto di riflessione. In ogni campo, in ogni relazione, è insita la necessità di prendersi cura di sé, di scendere in un ascolto profondo delle proprie necessità, delle proprie dinamiche, dei meccanismi che ci abitano e che ci aiutano o meno a entrare in un rapporto empatico con l’altro. Specificamente nell’ambito familiare, messo a dura prova dall’esperienza della pandemia e ora dal ritorno a una realtà nuova da ripensare e abitare, i genitori si trovano davanti al rischio di “dimenticare” se stessi, occupati completamente dalla cura per i figli.

Genitori non si nasce ma si diventa con un lungo, lunghissimo apprendistato, chiamato a revisione continua rispetto alle fasce evolutive del figlio. Ma occorre essere vasi pieni, forzieri ricchi di risorse per fronteggiare il cammino di cura e protezione. Perché ciò avvenga è necessario che il genitore riparta da se stesso e, nei limiti del possibile, si dedichi a un ascolto profondo del proprio bisogno e della propria fatica per poi porsi in un atteggiamento di accudimento e presenza costruttiva. Una grossa fonte di disagio è rappresentata dalla non conoscenza di se stessi e delle proprie esigenze, che si scontrano con l’impegno educativo e con la stanchezza che spesso ne deriva. Allevare, aiutare a crescere, a diventare autonomi e indipendenti, è un percorso che richiede molte energie fisiche ma, non dobbiamo dimenticarlo, anche psicologiche, in quanto prendersi cura di una persona e del suo benessere è compito delicatissimo e impegnativo.

Potrà essere molto utile per il genitore avere occasioni e spazi in cui riflettere sul proprio modo di relazionarsi a se stesso e al figlio, sulle proprie aspettative circa la crescita e sul suo compito di garante di tale percorso evolutivo, sulle fatiche e a volte i momenti di frustrazione che un impegno gravoso possono generare. Una buona genitorialità non è quella esente da errori o da imperfezioni ma è un cammino graduale per trovare il passo giusto, per sintonizzarsi con le esigenze del figlio guidando senza soffocare, accompagnando senza assumere atteggiamenti troppo direttivi e autoritari. In alcuni momenti, nel percorso di crescita, sono proprio i genitori ad avere più bisogno di ascolto, comprensione, supporto, quando le energie calano e i dubbi affiorano. Occorre confortare il genitore sul pensiero che, prendersi cura di se stesso non vuol dire assumere un atteggiamento egoista ma rappresenta invece un bisogno essenziale per poter essere poi delle guide serene e positive.

La cura di sé diventa la grande risorsa per prendersi cura del figlio nelle sue varie tappe evolutive con pazienza e amorevolezza e, il più possibile, liberi dalla rabbia e aggressività che una stanchezza eccessiva potrebbe generare. Investire sulla cura del genitore vuol dire offrire al figlio un terreno sano capace di accogliere il suo venire al mondo e diventare persona completa e realizzata. Il lato emotivo dell’allevare un bambino nel suo diventare adulto ha senza dubbio un costo elevato ma può essere sostenuto e accompagnato per aiutare il genitore ad abitare lo spazio educativo con le sue luci e ombre e a non fuggire dal suo compito, spesso visto come troppo gravoso, perché comporta un dimenticarsi di sé e dei propri spazi di libertà e di riposo.

Un’ottima risorsa può essere rappresentata dai percorsi di accompagnamento alla genitorialità offerti dai consultori familiari che, con il lavoro paziente e responsabile dei professionisti abilitati e formati sulle tematiche familiari, creano uno spazio di ascolto e sostegno qualificato permettendo ai genitori di non sentirsi soli nel loro compito educativo e scortati a crescere come guide autorevoli e serene. Specificamente, i consulenti familiari potranno lavorare sull’accoglienza del vissuto del genitore, sui dubbi, timori, senso di inadeguatezza che può essere sperimentato nel percorso educativo, partendo dalla consapevolezza dell’unicità del figlio e delle sue esigenze emotive e affettive come dell’unicità del genitore e del suo modo di rispondere ai bisogni di cura e accudimento. Unica è anche l’interazione che si crea nella famiglia: non esistono regole fisse e immutabili ma percorsi in cui scoprire la propria modalità educativa, quella maggiormente vicina al sano sviluppo di quel figlio specifico con i suoi doni e le sue fragilità.

Accogliere e accompagnare un genitore vuol dire quindi accogliere e accompagnare la famiglia intera e soprattutto le relazioni che in essa nascono, crescono e si sviluppano. Per realizzare questo occorrerà lavorare sulla conoscenza delle varie tappe evolutive del bambino, dei suoi bisogni legati a quel preciso momento di crescita e del modo di rispondere al meglio alle sue necessità sia materiali che emotive. Allo stesso tempo si terrà alta l’attenzione sul bisogno del genitore nel suo passaggio a guida educativa, accompagnandolo nella acquisizione di quelle competenze utili al suo sentirsi adeguato e all’altezza del compito che si trova ad affrontare passo dopo passo. Non bisogna mai dimenticare di partire da una visione positiva del genitore stesso, della sua capacità di prendersi cura, delle risorse di cui è dotato e che può mettere in gioco partendo dalla rassicurante considerazione che i bambini nascono, in linea di massima, in una posizione fondamentalmente sana e aperta a una crescita funzionale e che i genitori che manifestano un atteggiamento positivo e accogliente verso se stessi e gli altri crescono figli sostanzialmente sani.

Chiaramente bisognerà dedicare una cura specifica a particolari situazioni di disagio e fragilità senza dimenticare di guardare con fiducia alla famiglia e alla sua potenzialità di crescere positivamente. La sfida è quella di costruire spazi di condivisione tra le famiglie in città sempre più blindate nella loro solitudine e spesso chiuse al confronto, perché camminare insieme aiuta a sentirsi immersi in un tessuto relazionale in grado di dare ascolto, sostegno e incoraggiamento. (Alessandra Bialetti)

2 ottobre 2020