Preghiera per le vittime del mare. Di Tora: «Scrivere un’altra solidarietà»

Al Santissimo Redentore la prima delle veglie organizzate dalla Comunità di Sant’Egidio. Il vescovo: «Serve mutazione genetica dello spirito»

Nella parrocchia del Santissimo Redentore la prima delle veglie organizzate dalla Comunità di Sant’Egidio. Il vescovo: «Serve una mutazione genetica dello spirito»

Morti di speranza. Durante la veglia che si è svolta ieri sera, martedì 28 aprile, nella parrocchia del Santissimo Redentore a Val Melaina, si è pregato per le vittime del recente naufragio nel Mediterraneo: persone che cercavano un approdo sicuro contro la fame e la guerra, e sono morte. «Non deve più succedere», ha dichiarato il vescovo del settore monsignor Guerino di Tora, presiedendo la celebrazione. Per questo la Chiesa, a cominciare da Papa Francesco, alza la voce per difendere i più deboli e chiede all’Europa di agire. La Comunità di Sant’Egidio, che ha organizzato la veglia, non si fermerà qui: oggi, mercoledì 29, alle 19, presso il Centro Rifugiati di via delle Messi d’Oro, a Ponte Mammolo, ci sarà un altro momento di preghiera con i rifugiati. A presiedere, sempre il vescovo Di Tora.

«Facciamo memoria di tutte le donne, gli uomini, i bambini che fuggendo dalla guerra, dal terrorismo, dalla fame e dalla malattia, hanno abbandonato la loro terra e sono morti mentre cercavano un approdo di salvezza in Europa». Questa l’esortazione di monsignor Di Tora, che durante l’omelia ha spiegato: «Ho sentito la necessità di venire qui a pregare perché si smuovano le nostre coscienze, perché non accada più quello che abbiamo visto accadere. Occorre scrivere un’altra solidarietà mondiale, qualcosa che diventi interiore. Non basta l’emozione per chi fugge: ci vuole una mutazione genetica dello spirito».

La Comunità di Sant’Egidio intanto continuerà a organizzare incontri nei prossimi giorni: «Quello che è successo non può finire nel silenzio tra mille altre notizie», commenta Francesco Falasca. Quello di ieri, evidenzia, è stato un momento di preghiera che la Comunità organizza ogni anno durante il mese di giugno, ma dopo gli ottocento naufraghi morti al largo della Sicilia, «abbiamo sentito il dovere di raccoglierci subito e di far sentire la nostra presenza. Falasca». Mare Nostrum, osserva, aveva cercato di arginare i pericoli; Triton, il sistema di operazioni italiane ed europee contro l’immigrazione clandestina che l’ha sostituito, «ha evidentemente fallito. L’errore è il tipo di azione: bisogna muoversi per creare dei canali di aiuto in Africa. Queste persone affrontano questi viaggi così pericolosi perché sono senza documenti e nessuno li garantisce in alcun modo – rileva Falasca -. Bisogna fare in modo che vengano tutelate da subito in Africa in modo tale che poi l’Europa possa accoglierle diversamente».

Affogati sulle coste greche, italiane, spagnole. Morti nel deserto e in mare. Uomini, donne e bambini di tutte le età: molti resteranno senza nome e nessuno conoscerà mai la loro storia. Durante le preghiere dell’assemblea, nella chiesa del Redentore, sono stati ricordati tutti. Di queste vittime, centinaia, il vescovo ha esortato i cristiani a «somatizzare» le sofferenze, perché «sono Gesù». Parole pronunciate con chiarezza più volte dal presule: «Insegnaci a osservare la tua parola e a riconoscerti quando ti incontriamo povero, debole, prigioniero, profugo». Per un’accoglienza che sia senza alcun tipo di restrizione. La preghiera dei fedeli poi esorta all’azione: «Perché l’Europa non si chiuda nella paura ma sappia accogliere, preghiamo il Signore».

29 aprile 2015