Preghiera e impegno, per lottare “Insieme contro la tratta”

A Sant’Antonio a via Merulana la veglia promossa da Talitha kum e presieduta dal cardinale Czerny. Le testimonianze legate a sfruttamento sessuale e caporalato

Otto parole di disperazione – indifferenza, dolore, silenzio, solitudine, violenza, vergogna, omissione, paura – scritte in nero su grandi cartelloni, portati al collo da 8 giovani con le mani sul viso a rappresentare i volti anonimi delle persone schiavizzate. Questo segno forte ha aperto la veglia di preghiera di sabato sera, 8 febbraio, organizzata in occasione della celebrazione della VI Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone. Promosso da Talitha Kum, la rete internazionale della vita consacrata contro la tratta umana, il momento di meditazione sul tema “Insieme contro la tratta” ha avuto luogo in una gremita basilica di Sant’Antonio, a via Merulana, ed è stato presieduto dal cardinale Michael Czerny, sottosegretario alla sezione Migranti e rifugiati del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale.

«La preghiera condivisa può fortificare la nostra risposta a questa piaga mondiale – ha affermato il porporato all’inizio della celebrazione -, nei nostri ambienti di vita quotidiana che richiedono il nostro impegno, la nostra azione e soprattutto collaborazione». Commentando invece la Parola e in particolare il brano del profeta Ezechiele scelto per orientare la riflessione, Czerny ha sottolineato come «pregare significa non tanto presentare a Dio un problema, informandolo ad esempio sulla grave situazione della tratta di persone nel mondo, aspettandoci da Lui la soluzione», né «richiamare l’attenzione del Padre, di Maria e dei santi che possono apparire indifferenti al problema» ma, piuttosto, «imparare a guardare al problema che presentiamo e affidiamo da un altro punto di vista, chiedendo di essere aiutati a cambiare prospettiva e di cambiare noi per primi, convertendoci». Pregare Dio, la Madonna e i santi «non è chiedere loro di cambiare idea rispetto a una apparente indifferenza a un problema che persiste ma chiedere di cambiarci, donandoci un cuore nuovo, sostituendo quello di pietra con uno di carne», ha concluso il cardinale affidando l’impegno di ciascuno alla protezione di santa Bakhita, la suora sudanese divenuta simbolo dell’impegno della Chiesa contro la tratta perché venduta all’età di 7 anni ai fini dello sfruttamento sessuale e la cui memoria liturgica ricorre appunto l’8 febbraio.

Centrali i momenti di testimonianza proposti: Joy, una giovane donna nigeriana, ha raccontato in un video la sua esperienza legata allo sfruttamento sessuale, «la trappola» nella quale è caduta una volta giunta in Italia, dove credeva di trovare libertà e un futuro sicuro, non compromessi a cui adeguarsi per riscattare un debito. «Dopo la prima sera sulla strada – ha ricordato – pregai perché Dio mi facesse incontrare, come poi è stato, persone che davvero mi avrebbero voluto bene, aiutandomi a realizzare il progetto che Lui aveva per me». Mentre il suo volto, ora sorridente, riempiva lo schermo posto sull’altare, due figuranti, un uomo e una donna con ai polsi delle catene, si sono posizionati accanto all’ambone: coperti in viso da una maschera bianca, rappresentavano il cliente e la merce, perché a questo viene ridotta ogni donna che si ritrova vittima dello sfruttamento sessuale.

Ancora, il racconto di Ilaria Pacilli, referente della Caritas di Latina che ha aderito, insieme ad altre tredici realtà diocesane, al “Presidio 3.0” di Caritas Italiana, contro il caporalato e in difesa delle persone che lavorano nell’agricoltura. «Nell’Agro Pontino da molti anni ci sono centinaia di indiani sikh costretti a lavorare senza sosta – ha spiegato Pacilli -; lo chiamano “para sfruttamento” perché c’è un contratto di lavoro ma vengono dichiarate molte meno ore e una serie di servizi vengono forniti a pagamento e in maniera irregolare». Tra le azioni messe in atto dal Presidio, l’istituzione di «un punto di accoglienza in un terreno di una parrocchia di Terracina, davanti a un residence in cui vivono molti braccianti, con servizi di ascolto, di insegnamento della lingua italiana, orientamento legale e accompagnamento». Grazie a un lavoro di rete con istituzioni, diocesi vicine e associazioni, «il progetto offre anche la possibilità di trovare un lavoro o una casa a chi decide di denunciare lo sfruttamento subito», ha concluso Pacilli.

10 febbraio 2020