Porte aperte a Rebibbia per una catechesi

Detenuti e volontari presenti alla meditazione del biblista padre Alberto Maggi. Il vescovo Ambarus: «incontri importanti, coinvolgere le parrocchie»

Trascorrere qualche ora in carcere. Sfiorare quella realtà fatta di cancelli che si aprono e si richiudono al passaggio e di sbarre ovunque. Attraversare corridoi sorvegliati da guardie ma con la consapevolezza che tu ne uscirai presto. Grande ansia da una parte ma anche stupore nel vedere dall’interno, seppur brevemente, un mondo sconosciuto. Sono le sensazioni provate dalle persone, una sessantina, che venerdì pomeriggio, 10 marzo, hanno partecipato alla meditazione “Misericordia e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno”, tenuta dal biblista Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, nel teatro della casa circondariale Rebibbia Nuovo Complesso. Un incontro promosso dall’Ufficio per la pastorale carceraria e dai cappellani dei quattro istituti penitenziari di Rebibbia per far conoscere “all’esterno” la dimensione carceraria.

La catechesi, oltre a essere il primo appuntamento spirituale dopo la pandemia, ha inaugurato il lavoro dell’Ufficio per la pastorale carceraria istituito in Vicariato con la costituzione apostolica “In ecclesiarum communione”. «Ci vuole maggiore consapevolezza della realtà carceraria – ha affermato il vescovo ausiliare Benoni Ambarus, delegato per il settore -. Incontri come questo sono importanti perché se una cosa non la si conosce è come se non esistesse. Bisogna coinvolgere anche le parrocchie». Per monsignor Marco Fibbi, cappellano coordinatore degli Istituti penitenziari di Rebibbia, «è fondamentale far entrare in carcere un pezzo di mondo esterno che poi guarderà i detenuti con occhi diversi». Don Marco si è detto «piacevolmente» colpito dall’attenzione con la quale i detenuti, circa 60, hanno seguito la meditazione, rivolgendo anche alcune domande a padre Alberto. Si è centrato l’obiettivo di «donare un momento particolare ai reclusi», ha aggiunto il cappellano don Stefano Rulli.

rebibbia, alberto maggi, 10 marzo 2023
Alberto Maggi

Padre Maggi ha intitolato la sua meditazione “Se è giusto non è amore”, elencando le volte in cui, nella Bibbia, l’amore di Dio si manifesta in quelle che il mondo considera ingiustizie. Ha parlato del profeta Osea, che perdona i continui tradimenti della moglie; della chiamata di Matteo, per la società un reietto; della parabola degli operai dell’ultima ora, che ricevono lo stesso salario di chi ha lavorato tutto il giorno, e di quella del figliol prodigo, riaccolto dal padre con tutti gli onori nonostante le malefatte.

Tra gli ospiti c’erano molti volontari, come Felice, che da 30 anni trascorre il suo tempo libero a Rebibbia dove, da quando è in pensione, si reca tre volte a settimana. «Ho imparato tanto dai detenuti – la sua testimonianza -, soprattutto la forza per affrontare ogni situazione. Il compito principale di un volontario è ascoltare senza porre domande, di tanti ignoro il reato commesso». Tra gli ospiti c’era Giulia, che ha saputo dell’incontro navigando in rete. «È la prima volta che entro in carcere e ho provato subito grande ansia – racconta -. Non immaginavo mi avrebbe fatto questo effetto. Mi sono immedesimata immediatamente con i reclusi». Anche Giulia è impegnata nel sociale. Da molto tempo, infatti, è volontaria in ospedale e sottolinea che «realtà come quella sanitaria e quella carceraria sono difficilmente immaginabili. Se non si toccano con mano le ferite dell’umanità non si può comprendere il dolore e tutto ti scivola addosso».