Populorum progressio, un “programma d’azione” ancora attuale

A 50 anni dall’enciclica, un convegno all’Istituto Pio IX per riflettere sui suoi rapporti con la Fao. Monsignor Silvano Maria Tomasi: «La solidarietà, condizione indispensabile per lo sviluppo integrale»

Un incontro a cinquant’anni dall’Enciclica “Populorum Progressio” per riflettere sulla figura di Paolo VI e, in particolare, sui suoi rapporti con la Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura. Il seminario dal titolo “La carità, motore di tutto il progresso sociale”, organizzato dall’Osservatorio permanente della Santa Sede presso la Fao e dall’Istituto Pio IX-Aventino, si è svolto ieri, 7 novembre, nei locali della scuola di via di Santa Prisca. L’evento, spiega il direttore dell’istituto fratel Gabriele Di Giovanni, «è parte di un cammino avviato tre anni fa, quando abbiamo ricordato il 50° anniversario della visita di Paolo VI alla scuola dove è stato cappellano tra il 1928 e il 1932. Adesso – aggiunge Di Giovanni – abbiamo voluto ricordare il suo discorso alla Fao, nel 1970, con la quale il nostro Istituto ha sempre avuto legami».

Il rapporto tra i Papi e la Fao è stato fin dalla sua nascita, il 16 ottobre 1945 in Canada, all’insegna della vicinanza e della convergenza, in particolare sulla lotta alla malnutrizione e alle diseguaglianze. Nel 1951, quando la sede della Fao venne spostata a Roma, il legame si fece più stretto: sono numerosi i messaggi che i Papi hanno inviato nel corso degli anni all’Onu e diverse le visite che hanno compiuto. «Era il 26 marzo 1967, giorno di Pasqua, quando Paolo VI pubblicò la “Populorum Progressio” – ricorda nel suo intervento monsignor Silvano Maria Tomasi, già osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite e ora membro del dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale -. E per il Sud del mondo l’enciclica veniva recepita come segno di risurrezione. Per noi giovani sacerdoti del dopo Concilio – aggiunge il presule – questo documento divenne un programma di azione perché si tratta di un documento che tocca tutte le sfere della vita sociale».

Il primo a recarsi alla Fao fu proprio Paolo VI, il 16 novembre del 1970, in occasione del 25esimo anno di fondazione dell’organizzazione. Nel suo discorso c’era tutta la preoccupazione «per una parte sempre più considerevole dell’umanità» che continuava «ad aver fame di pane e di educazione, ad aver sete di dignità». Quando, rivolgendosi ai membri della Fao, il beato Paolo VI, prosegue Tomasi, affermò che la carità è il motore di tutto il progresso sociale, «esprimeva una profonda convinzione e un messaggio radicato nel Vangelo e ben articolato nell’enciclica Populorum Progressio, in cui la solidarietà è la condizione indispensabile per lo sviluppo integrale della singola persona e dei popoli. Senza questa dimensione della carità che è la solidarietà non c’è convivenza pacifica e non c’è sviluppo». La Populorum Progressio ha messo in primo piano il tema dello sviluppo dei popoli, presupposto fondamentale per il riconoscimento dei diritti dei poveri e degli ultimi. «È stato grazie a questo documento ancora oggi attualissimo, che i popoli della fame e del sottosviluppo, ridotti in questo stato dall’iniqua distribuzione delle ricchezze, irruppero cinquant’anni fa prepotentemente sulla scena».
A mezzo secolo dalla pubblicazione dell’enciclica a grandi linee la visione di Montini resta valida nella sua drammatica e radicale diagnosi: «Il mondo – scriveva Paolo VI –  è malato. Il suo male risiede meno nella dilapidazione delle risorse o nel loro accaparramento da parte di alcuni che nella mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli».

Secondo l’ultimo rapporto della Fao, la fame del mondo, in riduzione da oltre un decennio, torna ad aumentare, colpendo nel 2016 circa 815 milioni di persone, soprattutto in Africa e Asia: 38 milioni in più rispetto all’anno precedente. Dati che trovano riscontro nell’analisi di Fernanda Guerrieri, direttore generale aggiunto della Fao, tra i protagonisti del dibattito: «Il 40% del cibo si getta. Circa 1.3 miliardi di tonnellate di cibo l’anno si sprecano. Con una tale quantità di cibo – afferma Guerrieri – si potrebbero sfamare 2 miliardi di persone. Con il cibo – aggiunge – si getta l’energia per produrlo, il tempo necessario per lavorarlo, l’acqua, i fertilizzanti. S’inquina e si usa inutilmente il pianeta. Dobbiamo noi stessi agire in maniera responsabile ed essere in grado di lasciare questo pianeta ai nostri figli come, se non meglio, ce l’hanno consegnato a noi  i nostri padri».

8 novembre 2017