“Popolo” e “comunità”: il confronto Ravasi – Di Segni

Concluso con il presidente emerito del Pontificio Consiglio della cultura e il rabbino capo di Roma il ciclo di incontri ebraico – cristiani. La liturgia, «luogo dell’incontro»

Il presidente emerito del Pontificio Consiglio della cultura il cardinale Gianfranco Ravasi e il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni sono stati i protagonisti dell’ultima conferenza del ciclo di incontri di dialogo ebraico-cristiano “Comprendere il tempo alla luce della Bibbia ebraica”. Il tema al centro delle relazioni: “Essere popolo essere comunità: una fede non solo individuale”. Se ne è parlato in una sala gremita, a dimostrazione dell’interesse suscitato. Un itinerario in cui «ci siamo stupiti, ci siamo ascoltati», ha sottolineato nella presentazione monsignor Marco Gnavi, responsabile dell’Ufficio diocesano per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. Dopo i ringraziamenti del vescovo Spreafico (Frosinone-Anagni), rav Di Segni ha affrontato le differenze dal punto di vista biblico tra comunità e popolo. «Un problema – come ha affermato poi nelle conclusioni – a cui è legata anche la politica, profondamente attuale. La caratteristica del messaggio biblico è che il cammino di fede, di crescita spirituale dell’individuo non può esser mai limitato al singolo, la realizzazione piena avviene attraverso la collettività. Il messaggio che viene dal racconto del Decalogo è portare il cielo sulla terra non sul singolo ma sull’intera collettività, è la discesa di Dio che si poggia sull’intera collettività». La religione, ha spiegato, ha «tanti doveri ma c’è un gruppo che deve condividerli. La persona non si realizza mai da sola, il cammino è globale, coinvolgente, invadente. Questi concetti sono all’inizio del racconto della Genesi». Il rabbino ha quindi ribadito come «essere a immagine di Dio» significa essere fatti su un modello infinito, «specchiarsi in qualcosa che non ha limiti. Tuttavia, nessuno di noi può realizzare l’infinito. Si realizza qualcosa che si avvicina all’infinito quando si mettono insieme tutte le limitazioni: la vera immagine divina è la collettività».

La Bibbia è ricca di termini che indicano il raggrupparsi di persone e Di Segni ha spiegato le differenze tra popolo, congregazione, stare insieme per una finalità: «L’ebraismo non si esaurisce nella dimensione personale ma ha una dimensione collettiva, nazionale, anche se sono termini che possono dare adito a equivoci. L’identità collettiva mette insieme due anime: lo spirito religioso e l’essere parte di una collettività. Religione e nazione sono messe insieme e non possono essere staccate, altrimenti si creano degli strani processi identitari che possono essere motivo di crisi e che possono esplodere, come vediamo in questi ultimi tempi. Questo tipo di religione che si proietta in una comunità significa passare dall’ascetismo all’espressione collettiva. L’idea della nazione ha tormentato la politica degli ultimi due secoli e ora i problemi riemergono prepotentemente e si rischia di scadere nel nazionalismo. Essere nazione non è essere nazionalista. Molte nazioni diventano popolo in un territorio, la nazione della Bibbia diventa tale perché ha ricevuto un messaggio spirituale, a prescindere da una terra che è solo promessa».

Il cardinale Ravasi si è invece soffermato sull’immagine dell’albero, partendo dalle radici e ancora dalla Genesi: «Nella creazione c’è un rapporto con Dio, con l’alto, e con il basso, la terra, ma alla fine l’uomo si trova insoddisfatto». Gli serve «un aiuto che gli corrisponda. In ebraico “davanti a lui”: non più un rapporto verticale ma orizzontale, di occhi negli occhi. Quando ha l’altro davanti a sé si ha l’ominizzazione completa. Noi siamo con l’altro. E non dobbiamo ridurre il tu all’esso». Categorie che nel Nuovo Testamento servono a «ricostruire un concetto di natura umana condiviso, che oggi non c’è, basti pensare alla teoria gender». Poi c’è «l’albero che cresce, che è la comunità civile e religiosa. La tentazione è farne una teocrazia, l’equilibrio è difficilissimo. Gesù ha tentato quella formula, che è un tweet fantastico, del rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio». Ravasi ha ricordato anche l’espressione «suggestiva» del «santuario mobile nel deserto, la tenda dell’incontro. La liturgia è luogo dell’incontro. Da un lato verticale, con Dio: culto, preghiera. Ma è anche atto comunitario, incontro di un popolo». Infine, il tronco: «Il pastore è quasi il tronco che tiene insieme l’albero, con le radici dell’amore. Il pastore supremo, che è il Signore, e il buon pastore che è Cristo stesso. Ci sono poi i sacerdoti, i profeti che costituiscono una rappresentazione del pastore per analogia». In conclusione, anche Ravasi ha ricordato che «siamo di natura tutti “adamici”, contro ogni individualismo, nazionalismo, sovranismo, identitarismo».

Prima dei saluti conclusivi del vescovo ausiliare Libanori, su sollecitazione di Gnavi il cardinale ha indicato tre possibili temi per gli incontri del prossimo anno: la spiritualità, perché c’è una domanda profonda in tal senso; la crisi, in particolare della sapienza perché «viviamo in un tempo con molti riferimenti vacui, senza fondamento»; e infine il rapporto «donna e uomo, con tutto quello che solleciterebbe questa riflessione».

18 aprile 2023