Ponte Mammolo, 15 anni di docce per i poveri

Sono quasi 20mila le persone che dal 2000 hanno usufurito dei servizi di accoglienza offerti dalla parrocchia Sacro Cuore di Gesù

Sono quasi 20mila le persone che dal 2000 hanno usufurito dei servizi di accoglienza offerti dalla parrocchia Sacro Cuore di Gesù 

«Era il 2000 quando, con il progetto Giubileo, si iniziò ad allontanare i poveri dalle grandi stazioni, considerate  vetrine per turisti e pellegrini, riversandoli nelle periferie». Gianna Iasilli, volontaria della Comunità di Sant’Egidio, racconta i 15 anni di servizio docce attivo presso la parrocchia romana del Sacro Cuore di Gesù, nel quartiere di Ponte Mammolo, grazie all’intuizione del parroco di allora, don Giuseppe Argento. «Quindici anni fa i poveri di strada erano un numero senz’altro più ridotto rispetto a quello di oggi. La crisi degli ultimi anni, purtroppo, ha ingrossato le file». Sabato 14 marzo, con un pranzo all’aperto tenutosi nel cortile parrocchiale, tutti coloro che gravitano intorno alla parrocchia di via Casal de’ Pazzi, tra cui migranti, poveri, senza tetto, hanno voluto festeggiare un servizio che restituisce dignità alla persona.

A spiegarlo è Stanislao: polacco, in Italia da molto tempo, conosce la Comunità di Sant’Egidio dal 1994 ed è stato uno dei primi ad usufruire delle docce della parrocchia: «Quando vivevo nella grotta e poi nelle baracche, andavo a prendere l’acqua alle fontanelle con le taniche. Era molto fredda ma provavo a lavarmi alla bene e meglio. Da che ho cominciato a frequentare questo posto la mia vita è cambiata, perché è cambiato il mio pensiero. Se sei sporco come puoi sperare in qualcosa di buono e di diverso? Non solo gli altri non ti parlano ma nemmeno ti vogliono guardare. Con la faccia e i vestiti puliti ho potuto invece cercare lavoro e una casa. Insomma, ho ricominciato a vivere».

«Questo posto è pieno d’amore», dice monsignor Matteo Zuppi, vescovo del settore centro della diocesi di Roma e dal 2000 assistente ecclesiastico della Comunità di Sant’Egidio. «E come tutte le cose che nascono dall’amore, crescono. In 15 anni, circa 18.500 persone sono  passate da qui. È anche una storia di amicizia, questa. E chi ha avuto amicizia sono sicuro che saprà donarla agli altri». All’inizio, c’erano solo due docce per un  gruppo di 5 polacchi, tra cui Stanislao. Poi, nel 2003, grazie alla Caritas e al direttore di allora e oggi vescovo ausiliare della diocesi di Roma, monsignor Guerino Di Tora, sono state costruite 20 docce. Da 5 persone al mese nel 2000, si è passati a 100 al mese nel 2003.«Più di 45 nazionalità – spiega Iasilli -, un flusso che è la fotografia del nostro Paese, dell’Europa e del Mediterraneo».

Il pensiero va all’estate scorsa «quando quasi 100 tra eritrei e somali scampati dai naufragi – continua Iasilli – sono venuti da Lampedusa e hanno trovato qui un approdo. Non avevano nulla, solo tanta fame ma hanno chiesto una croce per essere sostenuti nella preghiera e don Gabriele ha regalo loro tantissimi rosari: tutti quelli che ha trovato in parrocchia». «Qui si incontra l’uomo nella sua vita – dice il parroco don Gabriele Bruscagin -, fatta di gioie e di difficoltà». Il buono di questa comunità – la “chicca”, come la definisce il sacerdote – è però l’accoglienza, che si snoda nei tanti servizi creati nel tempo: dalla raccolta viveri al centro di ascolto, dalla distribuzione del vestiario a quello del pane e della pizza, dalla scuola di italiano per stranieri alla visita agli ammalati e al pranzo con gli anziani soli.

«Un servizio di carità che risale molto indietro nel tempo – chiarisce don Gabriele –, cioè da quando, prima dei diocesani, qui c’erano i salesiani e poi i francescani che hanno lavorato, certo non senza difficoltà, sulle coscienze delle persone, dimostrando che la parola si può incarnare». Ad ogni modo, prima ancora che del pane, l’uomo ha bisogno «del perdono di Cristo – ammette don Gabriele – mentre la più grave delle malattie è la solitudine». Ricordando l’annuncio, da parte di Papa Francesco, dell’Anno Santo straordinario della misericordia, Bruscagin ammonisce: «Occorre dare i propri doni, mettere a disposizione degli altri i propri talenti, per sentirci coinvolti nelle diverse necessità che la chiesa ci chiede e che la società ci pone davanti. Senza contare che le opere buone – conclude il sacerdote, strappando un sorriso a tutti – sono punti per il paradiso».

16 marzo 2015