Poletti, l’uomo della pazienza, dell’umiltà e del dialogo

L’editoriale di monsignor Levi pubblicato da Roma Sette il 2 marzo 1997 dopo la morte del porporato

Per la morte del Cardinale Ugo Poletti, è difficile aggiungere parole alle molte già lette o ascoltate in questi giorni: alcune di autorevole elogio, molte di riflessione attenta, moltissime di gratitudine e rimpianto. Facendo attenzione, una cosa si ammirava maggiormente in lui, ed era la finezza, che si manifestava in tutti i suoi comportamenti. La finezza non è una virtù né teologale né cardinale. è una virtù umana, che prende molto dall’indole e dall’educazione, ma che tuttavia non può esprimersi compiutamente e durevolmente se non è sorretta da altre virtù che i cristiani conoscono come dono Spirito.

Ugo Poletti era umile, semplice, determinato. Umile anche nell’aspetto: la figura minuta, la voce cantilenante, la modestia del vestire, l’assenza di ogni pretesa di essere in qualche modo servito. Era semplice nella conversazione, nel rapporto con le persone, nel non mettersi mai di un gradino più su degli altri, nella disponibilità completa all’approccio altrui. Che fosse determinato, lo si vede da quanto ha saputo realizzare con tenacia paziente nei molti anni della sua vita.

Aveva un’intelligenza non comune. Inutile dire che fin dai giovani anni l’aveva posta al servizio della Chiesa senza pretese e senza limiti. Va invece sottolineato come la sua intelligenza fosse principalmente al servizio del cuore. Chiunque lo avvicinasse, anche solo per un breve scambio di parole, riceveva la sensazione di essergli amico, di avere in lui un amico. Le innumerevoli letterine scritte a mano con cui rispondeva a tutti, sempre contenevano un segno di affetto.

Non andava alla ricerca della popolarità. Era piuttosto schivo, riservato, col viso serio. Ma non appena scattava un rapporto per qualunque motivo, quel viso si illuminava di una luce che non si poteva dimenticare. Non è difficile immaginare quanti intoppi, quanti grovigli deve aver incontrato nella sua vita di alta responsabilità ecclesiale. Non fu mai l’uomo della spada che taglia il nodo gordiano. Fu l’uomo della pazienza, che sgomitola il filo intricato e cerca di condurre le cose alla loro linearità virtuosa.

Ha dovuto anche prendere, come ogni superiore, atteggiamenti e provvedimenti anticipati per i gusti di qualcuno. Ne avrebbe fatto volentieri a meno. Ma era fedele alle responsabilità affidategli. Lo faceva con pena, non senza la sua immancabile finezza. Chi scrive lo conobbe 40 anni fa, non ancora Vescovo ausiliare di Novara, e da allora rimase in contatto con lui fino alla sua morte. Chi scrive non ha avuto con lui una particolare intimità, ma una conoscenza, una stima, una collaborazione, un’affezione reciproca ininterrotte, che gli permettono ora di rendere testimonianza che lo spirito di vero sacerdote, di vero pastore, del Cardinale Ugo Poletti non è nato a Roma, anche se qui ha potuto fiorire nella sua pienezza. Il nostro primo incontro fu in un piccolo santuario mariano sul Lago di Como, dov’egli accettò di venire da Novara per un breve ritiro a un reparto di guide. La «Madonna del Soccorso» dominò la giornata, resa viva dalle sue miti parole.

L’ultimo incontro è stato ancora mariano, vicino alla Salus Populi Romani della basilica di cui era Arciprete, nelle cui braccia si è riposata la sua anima. Il bilancio di una vita, il mistero di una vita, sono noti solo al Signore. Ma quanto di lui ha potuto trasparire rende gloria al Datore di ogni bene e consola i rimasti, perché la sua morte, per la comunità di cui fu pastore, non è una perdita ma un arricchimento. (di Virgilio Levi)

2 marzo 1997