Pizzaballa: «È tempo di fermare questa guerra, questa violenza insensata»

Il patriarca latino di Gerusalemme scrive una lettera alla sua diocesi, condannando sia l’attacco di Hamas sia i bombardamenti su Gaza. L’invito a volgere lo sguardo «verso l’Alto» e a «non permettere che odio, vendetta, rabbia e dolore occupino tutto lo spazio del nostro cuore»

Parla di «uno dei periodi più difficili e dolorosi della nostra storia recente», il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, scrivendo alla sua diocesi. Una lettera – diffusa oggi, 24 ottobre – in cui guarda a questi giorni di guerra, partendo da un presupposto: «La coscienza e il dovere morale mi impongono di affermare con chiarezza che quanto è avvenuto il 7 ottobre scorso nel sud di Israele, non è in alcun modo ammissibile e non possiamo non condannarlo. Non ci sono ragioni per una atrocità del genere – ribadisce -. Si, abbiamo il dovere di affermarlo e denunciarlo. Il ricorso alla violenza non è compatibile col Vangelo, e non conduce alla pace. La vita di ogni persona umana ha una dignità uguale davanti a Dio, che ci ha creati tutti a Sua immagine».

Allo stesso modo però, «la stessa coscienza mi porta oggi ad affermare con altrettanta chiarezza che questo nuovo ciclo di violenza ha portato a Gaza oltre cinquemila morti, tra cui molte donne e bambini, decine di migliaia di feriti, quartieri rasi al suolo, mancanza di medicinali, acqua, e beni di prima necessità per oltre due milioni di persone. Sono tragedie che non sono comprensibili e che abbiamo il dovere di denunciare e condannare senza riserve», prosegue, avvertendo che «i continui pesanti bombardamenti che da giorni martellano Gaza causeranno solo morte e distruzione e non faranno altro che aumentare odio e rancore, non risolveranno alcun problema, ma anzi ne creeranno dei nuovi. È tempo di fermare questa guerra, questa violenza insensata», aggiunge.

Pizzaballa ne è convinto: «È solo ponendo fine a decenni di occupazione, e alle sue tragiche conseguenze, e dando una chiara e sicura prospettiva nazionale al popolo palestinese che si potrà avviare un serio processo di pace. Se non si risolverà questo problema alla sua radice – rileva -, non ci sarà mai la stabilità che tutti auspichiamo. La tragedia di questi giorni deve condurci tutti, religiosi, politici, società civile, comunità internazionale, ad un impegno in questo senso più serio di quanto fatto fino ad ora. Solo così si potranno evitare altre tragedie come quella che stiamo vivendo ora. Lo dobbiamo alle tante, troppe vittime di questi giorni, e di tutti questi anni. Non abbiamo il diritto di lasciare ad altri questo compito», è il monito.

La preghiera del cardinale è «per tutti noi, e in particolare per la piccola comunità di Gaza, che più di tutte sta soffrendo. In particolare – scrive -, il nostro pensiero va ai 18 fratelli e sorelle periti recentemente, e alle loro famiglie, che conosciamo personalmente. Il loro dolore è grande, eppure, ogni giorno di più mi rendo conto che loro sono in pace. Spaventati, scossi, sconvolti, ma con la pace nel cuore. Siamo tutti con loro, nella preghiera e nella solidarietà concreta – assicura -, ringraziandoli della loro bella testimonianza». Quindi l’esortazione alla preghiera «per tutte le vittime innocenti. La sofferenza degli innocenti davanti a Dio ha un valore prezioso e redentivo, perché si unisce alla sofferenza redentrice di Cristo – ricorda Pizzaballa -. Che la loro sofferenza avvicini sempre di più la pace!».

In conclusione, il patriarca invita a volgere lo sguardo «verso l’alto. Abbiamo bisogno – riflette – di una Parola che ci accompagni, ci consoli e ci incoraggi. Ne abbiamo bisogno come l’aria che respiriamo». E ricorda le parole di Gesù ai suoi discepoli, alla vigilia della sua passione: «Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33). Gesù, spiega, «non dice che vincerà, ma che ha già vinto. Anche nel dramma che verrà, i discepoli potranno avere pace». Non una pace «irenica campata in aria», né tantomeno una forma di «rassegnazione al fatto che il mondo è malvagio e che non possiamo fare nulla per cambiarlo». Si tratta invece, spiega il porporato, di «avere la certezza che proprio dentro tutta questa malvagità, Gesù ha vinto. È sulla croce che Gesù ha vinto. Non con le armi, non con il potere politico, non con grandi mezzi, né imponendosi. La pace di cui parla non ha nulla a che fare con la vittoria sull’altro. Ha vinto il mondo, amandolo. Una pace così, un amore così, richiedono un grande coraggio».

Di questo coraggio, il patriarca offre una declinazione concreta. «Avere il coraggio dell’amore e della pace qui, oggi – riflette – significa non permettere che odio, vendetta, rabbia e dolore occupino tutto lo spazio del nostro cuore, dei nostri discorsi, del nostro pensare. Significa impegnarsi personalmente per la giustizia, essere capaci di affermare e denunciare la verità dolorosa delle ingiustizie e del male che ci circonda, senza però che questo inquini le nostre relazioni». Ancora, «significa impegnarsi, essere convinti che valga ancora la pena di fare tutto il possibile per la pace, la giustizia, l’uguaglianza e la riconciliazione. Il nostro parlare non deve essere pieno di morte e porte chiuse. Al contrario, le nostre parole devono essere creative, dare vita, creare prospettive, aprire orizzonti – è l’indicazione -. Ci vuole coraggio per essere capaci di chiedere giustizia senza spargere odio. Ci vuole coraggio per domandare misericordia, rifiutare l’oppressione, promuovere uguaglianza senza pretendere l’uniformità, mantenendosi liberi. Ci vuole coraggio oggi, anche nella nostra diocesi e nelle nostre comunità – continua -, per mantenere l’unità, sentirsi uniti l’uno all’altro, pur nelle diversità delle nostre opinioni, delle nostre sensibilità e visioni. Io voglio, noi vogliamo essere parte di questo nuovo ordine inaugurato da Cristo».

24 ottobre 2023