Pinguini tattici nucleari alla conquista – anche – di Roma

La band bergamasca esplosa negli ultimi anni racconta il nuovo tour. Il 23 e 24 luglio tappa allo Stadio Olimpico. Conclusione il 9 settembre, alla RCF Arena di Reggio Emilia

Non è da tutti esplodere al Festival di Sanremo pre pandemia, nel 2020, e riempire stadi come San Siro e l’Olimpico giusto tre anni dopo. È successo ai Pinguini tattici nucleari, al secolo Riccardo Zanotti, Elio Biffi, Nicola Buttafuoco, Matteo Locati, Simone Pagani e Lorenzo Pasini, che hanno appena iniziato il loro tour anticipato da tre appuntamenti internazionali a Lake Placid (New York) per le Universiadi a gennaio, una data al The London Palladium (Londra) il 10 aprile e una in Islanda a maggio per SiVola Fest. Adesso toccheranno un totale di undici stadi, per oltre mezzo milione di persone, attraversando l’Italia fino alla data della RCF Arena di Reggio Emilia il 9 settembre. In mezzo, una doppia data al San Siro di Milano e un’altra doppia data all’Olimpico di Roma (il 23 – già sold out – e il 24 luglio), e diverse date tutte esaurite in prevendita, da Nord a Sud fino alle isole.

È un momento d’oro per la band che porta avanti la sua incredibile storia, fatta di un gioco di squadra che regala EP, album e singoli ascoltati e canticchiati ovunque. Oltre un miliardo di stream, due anni ai vertici delle classifiche airplay e FIMI/Gfk Italia, il successo dell’ultimo album “Fake News” (due volte Disco di platino) e di “Rubami la notte”, singolo uscito a maggio e subito Disco di platino, che arriva dopo “Coca zero”, che ha conquistato il primo posto della classifica radio.

Alla vigilia della partenza di San Siro (11 e 12 luglio), i membri del gruppo (il nome completo è ripreso da una birra scozzese) si sono presentati in conferenza stampa da “visitatori” emozionati: «C’è l’affermazione duecentesca, medievale, dei nani sulle spalle dei giganti e a me piace pensarla così – spiega Riccardo Zanotti, voce e frontman della band bergamasca -. Tanti sono venuti prima di noi, da Bennato a Bob Marley, i grandi concerti fatti qui, i Coldplay, una delle nostre band preferite. E noi semplicemente cerchiamo di entrare in questo tempio non tanto da statue che devono essere venerate come possono essere questi altri artisti, ma da visitatori. Vogliamo capire cosa significhi suonare in uno stadio. È andata bene, nel senso che il pubblico ha risposto estremamente bene e noi ci stiamo divertendo tantissimo».

Lo spettacolo è ricco di colpi di scena, c’è persino un tatuatore dal vivo, giochi pirotecnici e momenti più intimi, in antitesi con la location, luci stroboscopiche, proiezioni, citazioni, momenti in cui si balla e altri in cui ci si commuove ripercorrendo la strada fatta, ad esempio con il brano “Ricordi”, ma sempre in chiave ironica, com’è nel loro stile. Venticinque brani in scaletta e due ore che filano spensierate, racchiudendo la storia di una giovane band che negli anni ha saputo alternare grandi hit a brani cantautorali, capaci di far sorridere e di far pensare.

«Essere una band oggi – ha spiegato Riccardo – è diverso rispetto a essere un artista solista e questo lo si vede e lo si tasta proprio con mano anche in un live. Nel senso che ci può essere l’Iron Man, come si suol dire che si fa un live, ci può essere Bruce Springsteen, ci può essere anche Jovanotti, magari siamo d’accordo, però il tema è che in sei, potendo anche creare scenicamente “un vai avanti tu, vado un attimo dietro, io respiro, poi ritorno io…”, riesci ad avere un equilibrio che è una delle cose più importanti sul palco, perché il rock&roll è importante, ma la riuscita di uno spettacolo è fondata soprattutto sull’essere morigerati, sul capire quando è il momento di fare qualcosa e quando invece è il momento di restare un attimo dietro. Una band questo lo può fare».

La band risulta molto affiatata anche in scena e c’è spazio dunque anche per gli esordi, che risalgono al 2010, ad esempio con il brano “Dentista Croazia”, brano che parla della loro gavetta, dei tempi in cui, come ricorda Riccardo, «andavamo a ritirare in alta Val Seriana questo furgone che veniva utilizzato poi per andare a fare delle operazioni odontoiatriche in Croazia e ognuno si occupava di una parte comunque dell’organizzazione perché non avevamo un’etichetta non avevamo un’agenzia. C’era Elio che organizzava le date, c’ero io che organizzavo la logistica ed era tutto costruito in questa maniera. Quindi era bello anche che il pezzo nella sua esposizione live rispecchiasse lo spirito di quel periodo».

È Elio Biffi, quello alla fisarmonica, a raccontare l’aneddoto che dà la dimensione di quanto nemmeno loro credano a tutto il successo che li ha travolti, ma non stravolti: «A un certo punto durante il passaggio strumentale che facciamo fra “Bergamo” e “Hikikomori” che sono due brani nella prima parte della scaletta, Riccardo (alla data zero di Venezia) ha detto al pubblico di alzare tutti i telefoni e di seguire la musica. Abbiamo visto una marea infinita davanti ai nostri occhi. È una cosa che usiamo spesso nei nostri spettacoli da tanto tempo ed era bellissimo anche solo vedere una piazza riempirsi di luci. Ora che abbiamo visto questo campo in cui davvero i miei occhi, pur essendo in alto, non riuscivano a arrivare in fondo, beh quella cosa lì ti restituisce un po’ la dimensione, io credo, di una massa davvero così grande».

Una band musicalmente eterogenea, che mentre si vanta dell’«incoerenza» artistica, tiene il punto sull’onestà intellettuale, come spiega Riccardo: «Sicuramente adesso si spinge tanto l’individualismo. Pensiamo alla trap, pensiamo soprattutto – non è una critica quella che faccio – a canzoni che inneggiano a certe cose. A noi non è che dispiacciano neanche da ascoltatori, ma non le viviamo nella quotidianità. E aggiungo, pensiamo che anche quelli che ne parlano nelle canzoni spesso non le vivano nella quotidianità. Perché quando un ragazzino magari ha fatto un singolo che ha funzionato in radio e poi scrive “cinque ville a Miami e otto Ferrari nel garage”, la discografia oggi non funziona più così. Sempre parlando di relazione fra finzione e realtà, il pubblico la percepisce. Secondo me l’ostentazione la percepisce. Da parte nostra non c’è mai stata, o almeno non tanto. Sarebbe anche divertente poterci provare ogni tanto, come si dice dalle mie parti, a fare un po’ di sburonaggine dicendo: “Siamo fortissimi, siamo arrivati qua”. È che questi discorsi non ci appartengono, e secondo me il pubblico vuole qualcuno che dica “sono come te”».

14 luglio 2023