Pillola abortiva, Noia: «Né sicura né indolore né semplice da usare»

Il direttore dell’hospice perinatale del Gemelli riflette sulle nuove Linee di indirizzo sulla Ru486. Lanzone (Gemelli): ricadute psicologiche

Ben prima dell’impianto dell’embrione nell’utero, «tra madre e figlio si instaura una relazione molto forte»: la scienza ha dimostrato che quando «questo speciale “colloquio” manca, la placenta, fonte di ossigeno e nutrimento per il bambino, ha caratteristiche non ottimali, che comportano alla nascita un peso ridotto del piccolo, con conseguenze sulla salute, e si verificano inoltre episodi di aborto spontaneo, che hanno ricadute psico-fisiche sulla madre». Per Giuseppe Noia, docente di Medicina dell’età prenatale nella sede romana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’Unità operativa complessa hospice perinatale del Policlinico Agostino Gemelli, è importante partire da queste «evidenze scientifiche» per riflettere sulle nuove Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine (Ru486), emanate dal ministero della Sanità lo scorso 12 agosto. L’aggiornamento, superando le indicazioni precedenti del 2009, esprime parere favorevole al ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza con metodo farmacologico fino a 63 giorni, pari a 9 settimane compiute di età gestazionale, e in strutture ambulatoriali pubbliche adeguatamente attrezzate, funzionalmente collegate all’ospedale e autorizzate dalla Regione, nonché consultori, oppure day hospital.

«I tre aggettivi, ripetuti come un mantra, per definire la Ru486 – spiega Noia – sono assolutamente falsi dato che la pillola abortiva non è né sicura né indolore né semplice da utilizzare, come se si trattasse di assumere un analgesico per il mal di testa»; anzi «genera una serie di contrazioni dolorosissime poiché a sette-nove settimane la placenta è ancora più coesa con l’utero, e quindi l’entità emorragica è maggiore». Ancora, secondo il British medical journal, «nel 56% dei casi il feto è espulso con tutto il sacco embrionale – continua il medico – e per l’espulsione possono volerci anche settimane. Inoltre c’è un dato non sconfessato, quello delle morti da aborto farmacologico: quello chirurgico è 10 volte più sicuro».

L’esperto continua considerando le conseguenze dell’assunzione della pillola abortiva sul piano psicologico: «Se la donna viene operata non vede nulla, mentre in questo caso l’evento abortivo avviene sotto i suoi occhi, aggravando non solo il dolore ma anche minando per sempre la sua sicurezza psicologica». La paziente infatti «si ritrova a essere protagonista e spettatrice dell’agonia del proprio figlio e dei fenomeni emorragici che potranno verificarsi per un periodo che può arrivare fino a due settimane e in un luogo qualsiasi, senza preavviso», conclude Noia.

Anche Antonio Lanzone, direttore dell’Istituto di clinica ostetrica e ginecologica del Policlinico Agostino Gemelli, guarda alle ricadute psicologiche che l’utilizzo della pillola abortiva ha sulla donna che sceglie di farvi ricorso. Citando i test di soddisfazione del farmaco, il ginecologo rileva come «nel 50% dei casi quante hanno fatto ricorso a un aborto farmacologico non lo sceglierebbero una seconda volta». Ancora, «70 donne su 100, in caso di una seconda interruzione di gravidanza, preferirebbero comunque un ricovero, esprimendo dunque un forte desiderio che qualcuno si occupi di loro e che non venga meno quel principio di socialità che dovrebbe essere l’anima di ogni dispositivo pubblico», sottolinea Lanzone.

Il medico usa il modo condizionale «perché invece la via farmacologica all’aborto restituisce nelle mani della donna la responsabilità di gestione del processo. È lei ad assumere il farmaco ed è lei a espellere, in maniera cosciente, l’embrione, senza potersi avvalere di quell’aspetto socializzante garantito dalla procedura in ospedale e attendere da sole che il farmaco faccia effetto genera elevati livelli di ansia». In conclusione, citando ancora i test di soddisfazione, l’esperto, che è anche ordinario di Ginecologia e ostetricia all’Università Cattolica, fa riferimento anche agli alti tassi di percezione del dolore e dello stress ed evidenzia «il rischio, dopo l’assunzione del farmaco, di dover ricorrere a un secondo intervento, che è 4 volte superiore rispetto all’aborto chirurgico. A questo poi va aggiunto un tasso di mortalità di 10 volte superiore, a motivo di un’infezione registrata a diverse latitudini che sembra tipica delle donne che hanno assunto la Ru486».

1° settembre 2020