Pietro Parolin: Santa Sede, azione a tutto tondo per la pace

Il segretario di Stato vaticano intervenuto al Dies Academicus della Gregoriana. «Il superamento degli attuali conflitti passa attraverso il dialogo»

Il segretario di Stato vaticano intervenuto al Dies Academicus della Gregoriana. «Il superamento degli attuali conflitti passa attraverso il dialogo»

Un’azione di mediazione diplomatica finalizzata alla tutela dei diritti dell’uomo ma anche uno strumento ecclesiale che opera per il bene della famiglia umana, con un significato quindi che travalica quello meramente politico. È questo per il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato della Santa Sede, il cuore dell’azione diplomatica del Vaticano. Il porporato ieri, mercoledì 11 marzo, ha tenuto alla Pontificia Università Gregoriana una lectio magistralis nel corso del Dies Academicus 2014-2015 sul tema: “La pace: dono di Dio, responsabilità umana, impegno cristiano”.

La pace non è solo un’aspirazione, né è sufficiente avere intenzione di operarla. «Occorrono – ha spiegato Parolin – comportamenti concreti e coerenti, azioni mirate e, soprattutto, la piena coscienza che ognuno nel suo piccolo o grande mondo quotidiano è “costruttore di pace” pur nei diversi compiti, incarichi e funzioni». Nella politica internazionale questo convincimento porta a delle decisioni concrete, quali l’uso degli strumenti di mediazione come il dialogo, il negoziato, la trattativa, la mediazione e la conciliazione, «spesso visti come semplici palliativi privi della necessaria efficacia». Molti i risultati positivi nella risoluzione di tensioni che avrebbero potuto portare alla guerra, conseguiti nel silenzio, dalla diplomazia della Santa Sede, dalla crisi tra Argentina e Cile sul Canale di Beagle negli anni ’80 del secolo scorso alla recente distensione dei rapporti tra Stati Uniti e Cuba.

Le azioni di pace da perseguire nella politica internazionale sono diverse: prima di tutto lavorare perché non si verifichino situazioni di tensione che possano sfociare in una guerra; non più quindi solo prevenzione dei conflitti «ma sempre più della tutela della dignità umana e dei diritti ad essa connessi. Diventano allora prioritari fattori come la povertà, il sottosviluppo, le catastrofi naturali, le crisi economiche e altre situazioni che possono turbare o rendere impossibile la pace». Molto lavoro c’è anche nella situazione post bellica: «Quando è in gioco la pace – ha spiegato Parolin – le questioni da affrontare nel post-conflitto sono molto chiare, come ad esempio il rientro di profughi e sfollati, il funzionamento delle istituzioni locali e centrali, la ripresa delle attività economiche, la salvaguardia del patrimonio artistico. Ben più complesse, però, sono le esigenze di riconciliazione tra le parti: basti pensare al rispetto dei diritti umani e tra questi al diritto al ritorno, al ricongiungimento di famiglie e comunità e alla relativa restituzione dei beni o al risarcimento». Non si tratta quindi solo di «riassettare territori, riconoscere nuove o mutate sovranità, o ancora garantire con la forza armata i nuovi equilibri».

Il lavoro della Santa Sede per la pace è quindi un’azione a tutto tondo, che accanto agli strumenti classici della collaborazione con gli Stati (il Vaticano ha relazioni diplomatiche di tipo bilaterale con 179 Stati, a cui si aggiungono l’Unione Europea e lo Stato di Palestina) porta con sé uno spirito di reale contrasto alla guerra: «Nessuna azione avente a cuore la pace, compresa quella esercitata dalla diplomazia, può essere ragionevole e valida se, anche tacitamente, mantiene ancora dei riferimenti alla guerra». In questo senso l’uso della violenza è solo un estrema ratio. «Nel disarmare l’aggressore per proteggere persone e comunità non si tratta di escludere l’estrema ratio della legittima difesa  – ha osservato Parolin – ma di considerarla tale: estrema ratio, appunto. E soprattutto attuarla solo se è chiaro il risultato che si vuole raggiungere e si hanno effettive probabilità di riuscita». La Chiesa ma anche il diritto internazionale hanno fatto superare la convinzione secondo cui «l’uso della forza armata si può solo umanizzare, ma non eliminare».

Nei rapporti con il mondo islamico la necessità prioritaria rimane quella del dialogo. «Il superamento degli attuali conflitti passa solo attraverso il dialogo», da agire con «fede e con speranza, anche se a volte i risultati sono piuttosto scarsi. Io credo che essere cristiani sia una categoria politica di amore, noi crediamo che l’unica forza che alla fine prevarrà sarà l’amore. Perché l’amore è Dio e Dio è amore. Dobbiamo avere questa fiducia – ha concluso Parolin – che gli sforzi che si stanno facendo daranno a suo tempo il loro frutto. Quindi continuiamo sulla strada del dialogo con determinazione, nonostante gli insuccessi».

12 marzo 2015