Periferie, sindaci in campo contro il blocco dei fondi

Il presidente Anci Decaro ascoltato alla Camera su tutte le questioni che nel cosiddetto “decreto milleproroghe” riguardano la vita dei Comuni. In primo piano il congelamento degli stanziamenti per le periferie

«Siamo pronti a presentarci a Palazzo Chigi per consegnare in segno di protesta le nostre fasce tricolori e avremo idealmente dietro di noi i venti milioni di cittadini ai quali si vuole rubare la speranza di vivere in città e in Paesi migliori». Nella giornata di ieri, 4 settembre, il presidente dell’Anci (Associazione nazionale Comuni italiani) Antonio Decaro, sindaco di Bari, si è fatto portavoce della protesta dei sindaci contro il blocco fino al 2020 dei fondi per la riqualificazione delle periferie. Con una delegazione di venti sindaci, è stato ascoltato dalla prima e dalla quinta commissione della Camera, in forma unita, sulle questioni che nel cosiddetto “decreto milleproroghe” riguardano la vita dei Comuni. In primo piano, quello che Decaro ha definito un «furto con destrezza»: l’emendamento approvato in una notte d’agosto al Senato che “congela” i fondi stanziati per le periferie:  1,6 miliardi di euro, ai quali vanno aggiunti 1 miliardo e 100 milioni di cofinanziamenti pubblici e privati, destinati a 326 Comuni in cui risiedono quasi venti milioni di italiani.

In molti casi, avverte Decaro, i lavori sono già iniziati e in alcuni praticamente finiti. I Comuni comunque hanno già speso per la progettazione esecutiva che doveva essere completata entro agosto. Nel mese di dicembre poi erano state  firmate a Palazzo Chigi le convenzioni relative ai progetti esaminati e validati e quindi gli enti locali avevano avviato le procedure di attuazione. Per il presidente Anci «il blocco dei finanziamenti è illegittimo sotto il profilo formale e irragionevole sotto quello sostanziale». Per questo, se l’emendamento non verrà modificato dalla Camera nel secondo passaggio parlamentare del decreto, come chiesto dall’Anci, i sindaci faranno valere le loro ragioni a tutti i livelli, dal Tar alla Corte Costituzionale, «senza trascurare ogni altra forma di mobilitazione democratica».

5 settembre 2018