“Perfect days”: il ritorno di Wenders

Il nuovo film del regista, premiato a Cannes per il miglior attore protagonista: un’opera minuziosa e di grande respiro, costruita sulla invisibile poesia della quotidianità

Bisogna provare a immaginarlo, Hirayama: uomo sui cinquanta anni, conduce una vita normale e ordinata nella Tokyo di oggi. Fa un lavoro quantomeno insolito: si occupa della pulizia dei bagni pubblici. È sul ritratto di questo personaggio umile, uno tra la folla della Capitale giapponese, città tanto bella quanto dispersiva, che si apre Perfect days, il nuovo film di Wim Wenders. Se non basta, si può aggiungere che questo uomo imprevedibile dedica il tempo libero a letture strane e ricercate, accompagnate da fotografie che colgono scorci di suggestiva bellezza e non disdegna seguire la cura delle piante o ascoltare musica.

La connotazione prevalente del carattere di Hirayama è quella di essere un solitario. Si tratta, lo si è capito, del ritratto di uno che sembra fare poche cose e per di più sempre le stesse. In realtà Hirayama è uno spirito libero, che trae la libertà proprio dal ripetere con frequenza gesti e azioni. Chiarisce opportunamente Wenders: «La routine di Hirayama è la spina dorsale del copione. La bellezza di un ritmo così regolare, con giornate “tutte uguali”, è che queste piccole cose non sono mai le stesse ma cambiano ogni volta. Se impari davvero a vivere interamente nel qui e nell’ora, non esiste più la routine, esiste solo una catena infinita di eventi, incontri e momenti unici».

Non resta allora che passare dalla parola alle immagini per capire come quanto enunciato si trasforma in vita vera. L’operazione non sarebbe del tutto semplice, se non fosse per la presenza dietro la macchina da presa di Wim Wenders. Ossia di uno tra i migliori registi del panorama europeo e internazionale. Nato a Dusseldorf nel 1945, Wenders ben presto si trasferisce a Parigi, dove matura una forte cultura cinefila. Dopo alcuni film come Alice nelle città (1973) e Nel corso del tempo (1976), arriva L’amico americano (1977) che gli procura grande successo e lo convince a trasferirsi negli Usa per quattro anni. Torna in Germania e, in una fase di forte creatività, firma Lo stato delle cose (Leone d’oro a Venezia ‘82), Paris Texas, Palma d’oro a Cannes ‘84, e Il Cielo sopra Berlino (Orso d’oro a Berlino ‘87).

Ormai acclamato come regista di primo piano, a partire dagli anni ’90 può permettersi di girare film di vario livello, in tutto il mondo e di genere differente, tra cui va ricordato Papa Francesco. Un uomo di parola, un doc sul pontefice. All’interno di questa cornice ampia e intensa, si comprende meglio il motivo della provocazione/suggestione che ha per protagonista l’anonimo Hyrayama. Perfect days è un’opera minuziosa e di grande respiro, costruita sulla invisibile poesia della quotidianità. Talmente calata nella bellezza inedita di un Giappone che sembra un altro mondo, tra paesaggi e musica, da far vincere al protagonista Koji Yakusho il premio come miglior attore all’ultimo Festival di Cannes