“Per la gloria”, l’originalità di James Salter

Il romanticismo giovanile e impetuoso rivisitato con il disincanto dell’adulto, che comprende l’inevitabile solitudine a cui è destinato l’uomo valoroso

Il romanticismo giovanile e impetuoso rivisitato con il disincanto dell’adulto, che comprende l’inevitabile solitudine a cui è destinato l’uomo valoroso

«Si vive e si muore soli, specialmente su un aereo da caccia. Piloti di caccia… Ti infilavi dentro l’abitacolo angusto, fissavi le cinghie e ti collegavi al tuo velivolo. Il tettuccio di plexiglas si richiudeva sigillandoti, isolandoti dal mondo… Come un sommozzatore, solo che andavi verso l’alto, invece che in basso». La prima frase è una citazione implicita da Joseph Conrad, interprete esistenziale e cantore poetico dei capitani di marina, perduti nei Tropici, malati d’infinito, al comando di velieri allo sbando sotto cieli elettrici percorsi da tempeste minacciose. Ma le righe successive spostano la collocazione cronologica del testo alla metà del ventesimo secolo e dagli oceani indonesiani ci portano nei cieli nipponici, al tempo della guerra che gli Stati Uniti ingaggiarono contro la Corea comunista. Le scrisse James Salter (New York, 1925-2015), nel suo primo leggendario romanzo aeronautico, The Hunters, uscito nel 1956, finora inedito in Italia, pubblicato da Guanda in una traduzione di Katia Bagnoli: Per la gloria (pp. 281, 18 euro).

Il tema posto dalla narrazione chiama in causa proprio il senso profondo che dovremmo attribuire alla celebrità riscossa dagli esseri umani: fino a che punto corrisponde al valore autentico? E chi giudicherà i contraffattori? Il capitano Cleve Connell, asso della Seconda guerra mondiale, trasferito nella nuova contesa asiatica, si trova di fronte un avversario imprevisto: non tanto i piloti dei MiG russi, quanto gli stessi suoi commilitoni, fra i quali spicca Pell, spregiudicato concorrente, capace di abbattere i velivoli nemici senza tenere in minimo conto la vita dei suoi compagni, fino al punto di oscurare la fama di ogni altro equipaggio, pur di ricevere le lodi dei generali. Cleve sente scemare intorno a sé la fiducia dei superiori e quando finalmente si rende protagonista di un’azione davvero eroica, questa resta esclusa dallo sguardo pubblico, anche perché lui preferisce cancellarla a vantaggio di un amico scomparso.

Il fascino di Per la gloria si dispiega negli intermezzi fra una missione e l’altra: seguendo la crescente amarezza del protagonista, Salter dimostra una notevole sapienza descrittiva, lasciando presagire l’originale scrittore che sarebbe diventato. Dieci anni prima di questo romanzo d’esordio, era uscito postumo L’ultimo nemico di Richard Hillary (1919-1943): il riferimento letterario di molte battaglie aeree novecentesche, riproposto qualche anno fa dall’editore Castelvecchi. Credo che James Salter sia ripartito dal romanticismo giovanile e impetuoso di Hillary, precipitato per sempre nelle acque della Manica dopo aver composto la sua indimenticabile opera autobiografica. A differenza di Richard però James, recuperando appunto la grande lezione conradiana, ebbe il tempo di conoscere il disincanto dell’adulto, come se avesse compreso l’inevitabile solitudine cui è destinato l’uomo valoroso.

21 giugno 2016