“Paura e speranza”: il dialogo a tre voci sull’oggi di Dio

Il rabbino Di Porto, il biblista Sessa e il pastore valdese Garrone protagonisti del nuovo incontro del ciclo sul dialogo ebraico – cristiano, di Vicariato e Comunità ebraica

Attuare un cambio di prospettiva alla luce del discernimento, per «passare dalla paura al timore di Dio». Questo lo stimolo emerso dalla riflessione che si è sviluppata ieri sera, 15 aprile, nel corso del penultimo incontro del ciclo di approfondimento del dialogo ebraico – cristiano su “Comprendere il tempo alla luce della Bibbia ebraica”, promosso dall’Ufficio diocesano per l’ecumenismo, il dialogo interreligioso e i nuovi culti e dalla Comunità ebraica di Roma. In un momento storico in cui la situazione mondiale genera sentimenti di preoccupazione e perfino di angoscia, il dialogo a tre voci sul tema “Paura e speranza, quando l’essere umano è minacciato” ha visto confrontarsi – moderati da monsignor Marco Gnavi, direttore dell’Ufficio del Vicariato – il rav Ariel Di Porto, tra gli ideatori del percorso, padre Salvatore Maurizio Sessa, biblista e docente di Sacra Scrittura all’Istituto di Teologia della vita consacrata Claretianum e all’Istituto superiore di Scienze religiose all’Apollinare, e il pastore valdese Daniele Garrone, biblista e presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia.

«Negli ultimi 4 anni, con la pandemia, le guerre e i fondamentalismi religiosi siamo ripiombati in un mondo che avremmo voluto non vedere, provando sentimenti che pensavamo di avere dimenticato come paura e angoscia – ha detto aprendo il suo intervento il rabbino -, nonostante il XX secolo sia stato caratterizzato da un atteggiamento di fiducia dell’uomo nella scienza e nella tecnologia». Tale attuale condizione, ha continuato Di Porto, «rende difficile temere Dio» ossia «dare spazio nella nostra vita a Lui e alla religione quale fonte che genera armonia», poiché infatti «non c’è contraddizione tra l’amore e il timore per Dio». È proprio nelle situazioni di paura, «a cui oggi l’uomo risponde con l’evitamento e l’eliminazione della causa che la procura» – sono ancora le parole del rav – che «il timore di Dio, su cui si basa tutta la Torah e che è un principio etico regolatore, e la consapevolezza che Dio è con noi ed è presente, offrono la saggezza e l’intelletto», fondamentali per affrontare «il pericolo, riconoscendone la realtà effettiva».

Anche il pastore Garrone ha analizzato il verbo “temere” in relazione al racconto biblico di Giona, considerando come venga utilizzato sia «per dire la paura, come nel caso dei marinai spaventati allo scoppio della tempesta, sia per esprimere il timore di Dio» che Giona dichiara di provare, «dichiarandosi dunque credente pur non avendo allo stesso tempo paura di eludere il compito che Dio stesso gli ha assegnato e dal quale sta scappando, rifugiandosi nel fondo della nave e cadendo in un sonno che non è un semplice appisolarsi ma una ostinata indifferenza per sottrarsi letteralmente da davanti al volto di Dio». Secondo il biblista valdese, la rilettura del primo capitolo del Libro di Giona offre lo spunto per riflettere su come «la storia può cambiare anche grazie a noi o lasciarci indifferenti».

Infine l’intervento di padre Sessa, che ha fatto notare come «la paura non è di per sé negativa» poiché «segnala una minaccia», e che «la parola profetica rivela ai suoi uditori il senso della storia in atto e chiede di prestare attenzione a tale storia, perché in essa si rivela la verità di Dio, promotore di una alleanza eterna con gli uomini». Quindi la provocazione del religioso: «Siamo sull’orlo della terza guerra mondiale, cioè della fine di tutto: i credenti dovrebbero provare la sana paura che risveglia il discernimento e davanti a queste minacce interrogarsi sul senso degli eventi». Poi il riferimento specifico al libro del profeta Geremia, «che risponde con un lamento a Dio che gli si rivela» a motivo della «paura per la sproporzione tra le sue forze e il compito a lui richiesto ossia proclamare la Parola chiedendo obbedienza a chi pretendeva per sé il potere». Il biblista ha offerto una ulteriore provocazione spronando a «decidere se sappiamo essere persone che affrontano la paura in obbedienza a Dio».

In chiusura monsignor Gnavi ha sottolineato come «l’oggi contiene una speranza» quale antidoto alla paura ed è «l’iniziativa di Dio che noi dobbiamo saper comprendere». In apertura dei lavori aveva invece portato il suo saluto il vescovo Paolo Ricciardi, nuovo delegato per l’ambito della Chiesa ospitale e “in uscita”, che ha evidenziato l’importanza di «camminare insieme in questo tempo difficile» perché «anche questi piccoli passi contribuiscono a costruire la pace».

16 aprile 2024