Pastorale sanitaria: “Un di più di vicinanza”, con la testimonianza di Giorgio Conti

Da medico – direttore dell’Unità operativa complessa di terapia intensiva pediatrica del Gemelli – a paziente, l’esperienza della malattia come «risorsa».

La testimonianza di un medico che si è riscoperto paziente, e per il quale «la malattia è stata ed è una risorsa», ha avviato ieri sera, 24 febbraio, il corso di formazione on-line “Un di più di vicinanza”, curato dall’Ufficio per la pastorale sanitaria del Vicariato. «In questo tempo di Quaresima, per cinque settimane, vogliamo metterci in ascolto dell’esperienza con la malattia e del percorso di vita degli altri e di noi stessi», ha spiegato il vescovo ausiliare Paolo Ricciardi, delegato per la pastorale sanitaria, in apertura del primo appuntamento rivolto a volontari ospedalieri, medici, infermieri e a tutti coloro che «si fanno carico dei malati, stabilendo una relazione di fiducia». Per i prossimi 4 mercoledì sono previste le testimonianze di un sacerdote affetto da una malattia fin dall’infanzia, di una persona interessata dai disturbi dell’alimentazione, di un’altra colpita da una patologia rara e infine di una coppia di genitori che hanno accompagnato il loro figlio nella malattia e fino alla morte.

Intenso il racconto di vita, e insieme professionale, di Giorgio Conti, direttore dell’Unità operativa complessa di terapia intensiva pediatrica e del trauma center pediatrico del Policlinico universitario Agostino Gemelli. «Inizialmente ho vissuto il passaggio dall’essere medico all’essere anche paziente in modo traumatico – ha detto – ma con il passare degli anni mi sono reso conto che la malattia mi ha dato qualcosa in più, cambiando in meglio il mio modo di rapportarmi con i pazienti e con le loro famiglie». Conti, affetto da un linfoma, «una delle malattie del sangue non curabile», ha spiegato di «essere diventato un medico migliore, sicuramente più empatico», mettendo in luce la certezza che «la malattia, che mi ha tolto molto, mi ha anche insegnato molto, tanto che non sono sicuro che, potendo tornare indietro, vorrei evitarla, forse perché ho oramai imparato a conviverci».

Pur ammettendo di avere paura, «perché sarei un incosciente, altrimenti, dato che so bene di che cosa sto parlando quando penso alla mia malattia, per la quale, tra l’altro, sono giunto ormai alla terza linea di cura», il medico, che è anche docente di Anestesiologia e Rianimazione all’Università Cattolica, riconosce «nella fede e nella gioia che mi procura il mio lavoro» dei motivi di forza e di sostengo imprescindibili. Da un lato, Conti si è detto «mai abbastanza grato ai miei genitori per avermi trasmesso i valori della fede», dall’altro, ha spiegato che la professione che svolge da più di 35 anni «mi emoziona ancora e mi rende felice», a tal punto che, nemmeno di fronte al Covid-19, «rischioso per me, nella mia condizione di salute», ha mai pensato di abbandonarla. «Non starò a casa e non smetterò di curare i miei pazienti – ha detto con forza -. Preferisco rischiare di morire piuttosto che lasciare i miei bambini e le loro famiglie».

Conti ha anche sostenuto che «la malattia vissuta in prima persona mi ha insegnato come e cosa la medicina non deve essere», riferendosi alla necessità di un rapporto personale e umano tra medico e paziente. «Per tutta la vita – ha raccontato – ho cercato di insegnare ai giovani medici a non riferirsi ai malati con un numero di letto o con l’etichetta della loro patologia, poi, un giorno, nella sala d’attesa di un grande ospedale, mi sono sentito chiamare con un numero». Ancora, lo specialista del Gemelli auspica che si parli «sempre meno degli ospedali come di aziende sanitarie», perché ciò equivale a parlare di «una medicina tecnicistica, gelida, che trasmette un senso di abbandono e non certo amore né calore, come dovrebbe essere». Infine, Conti ha raccontato di come viva il momento della cura, sottoponendosi alla chemioterapia nell’ospedale nel quale lavora, ma senza privilegi di sorta, «togliendo il camice e mettendomi in fila come tutti gli altri pazienti, cercando anche di rassicurarli e sostenerli come posso».

25 febbraio 2021