Pasqua, la vittoria nascosta

Sulla croce, tutto è compiuto. Il mondo è redento. La morte è sconfitta, nonostante le apparenze. Ma solo la fede lo sa. La fede «giusta e vera» del Venerdì Santo

«No, credere a Pasqua non è / giusta fede: / troppo bello sei a Pasqua! / Fede vera / è al venerdì santo / quando Tu non c’eri / lassù! / Quando non una eco / risponde / al suo alto grido / e a stento il Nulla / dà forma / alla tua assenza». Così scriveva David Maria Turoldo nei “Canti ultimi”. Esperto della notte oscura, il poeta friulano invoca una fede più «giusta» e «vera» davanti al silenzio di Dio. Quest’anno i toni gioiosi dell’aurora di Pasqua si confondono con quelli più mesti del tramonto. Un male oscuro, nascosto, aggressivamente contagioso, invisibile in sé ma letale nei suoi effetti – esattamente come il peccato! – ha sgretolato le nostre orgogliose sicurezze. Anche i più fortunati percepiscono la minaccia di un virus che non fa differenza di censo o classe sociale, non distingue il colore della pelle e non riconosce confini nazionali. Il sentimento di incertezza che serpeggiava nella società post-moderna è improvvisamente esploso, dirompente e incontrollabile, obbligando in pochi giorni a cambiare ritmi di vita, obiettivi di lavoro, consuetudini consolidate. Il mondo si è trovato coinvolto una quaresima laica e globalizzata, fatta di silenzio, di ritiro e di forzata convivenza con se stessi e con il proprio nucleo familiare più ristretto. O, peggio, di lavoro stremante, di dolore, di lutto.

Oggi è Pasqua. Ma nonostante il suono festoso delle campane, ci sentiamo ancora come sospesi nel vuoto di un sabato santo prolungato. Dinanzi al dolore del presente e al timore del futuro, l’esultanza pasquale sembra inopportuna, quasi di cattivo gusto. Eppure non possiamo non celebrare la risurrezione del Signore. È un dovere nei confronti del mondo. Certamente, oggi come non mai dobbiamo respingere ogni retorica, ogni fasullo trionfalismo, sordo al pianto dell’umanità. Ma non è lecito sottrarci al dovere di testimoniare la luce della fede. Le ultime parole che l’evangelista Giovanni pone sulle labbra di Gesù morente sono: «È compiuto» (Gv 18,30). Sulla croce, tutto è già compiuto. Il mondo è redento. La morte è sconfitta, nonostante le apparenze. Ma solo la fede lo sa. La fede, che ci fa passare dallo sguardo superficiale alla percezione profonda delle cose.

«Percepire è riconoscere ciò che soltanto ha valore, ciò che soltanto esiste veramente. E che altro veramente esiste in questo mondo se non ciò che non è di questo mondo?» (Cristina Campo). Questa è la fede, la fede «vera e giusta» del venerdì santo. La risurrezione ha soltanto portato alla luce la vittoria nascosta, che già si era realizzata sul Golgota. Quest’anno la Pasqua esige un supplemento di fede, per riconoscere la vittoria nascosta del Figlio dell’Uomo. Dinanzi al dolore universale, il tentatore insinua anche nel nostro cuore il dubbio: ma davvero il mondo è stato redento? Non si direbbe… La fede però suggerisce al nostro cuore: sì, il Signore è risorto, il male è sconfitto, non si torna indietro.

Quest’anno più che mai ci è consentita solo una gioia pasquale sommessa e senza pretese. Siamo pellegrini, “viatores” in cammino verso la méta definitiva, la Gerusalemme di lassù, dove «non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento né affanno» (Ap 2,14). Con la liturgia della pasqua ebraica, ripetiamo: «L’anno prossimo a Gerusalemme». Viviamo dunque in pienezza il tempo dell’esodo e del cammino: corresponsabili del bene comune, più sensibili al dolore dei fratelli, solidali con i poveri che da sempre sperimentano quella fragilità che ora ha raggiunto anche noi. E però convinti che il Vincitore, nascosto nelle pieghe della storia, ci accompagna. Questa è la speranza cristiana: «Scimus Christum surrexisse a mortuis vere. Tu nobis, victor rex, miserere».

14 aprile 2020