Parolin: Sant’Egidio e la «romanità» vera, che è «universalità»

Il segretario di Stato vaticano ha presieduto la Messa per il 52° anniversario della Comunità, fondata da Andrea Riccardi. L’appello a stringersi intorno a Francesco e a farsi città accogliente. Il ricordo dei corridoi umanitari

L’esortazione a stringersi intorno a Papa Francesco per non lasciarlo solo e la sollecitazione a Roma a essere una città accogliente e aperta al prossimo. Sono gli appelli lanciati sabato 8 febbraio dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, presiedendo nella basilica di San Giovanni in Laterano la Messa per il 52° anniversario della Comunità di Sant’Egidio. Nell’omelia il porporato ha ricordato l’apprezzamento di san Giovanni Paolo II e di Papa Francesco per la missione svolta dalla Comunità che «si trova a suo agio nel solco che Papa Bergoglio traccia». Ha quindi considerato «urgente» in questo tempo «la testimonianza dei cristiani», sulle orme di Francesco che «ci sta innanzi. Non possiamo né vogliamo che sia solo. Questo vuol dire comunicare il Vangelo e fare il bene, come lui fa». A margine della celebrazione, tornando sull’argomento, ha evidenziato che «non è un mistero che non tutti condividano le sue indicazioni». Ha paragonato la Chiesa a «un giardino con tanti fiori diversi di tanti colori» ma è necessario «convergere nell’unità». L’auspicio del porporato è quello che «ci possa essere maggiore unanimità e maggiore consenso da parte di tutti e un’accettazione cordiale delle parole del Papa».

Immediata la risposta della Comunità che per voce del presidente Marco Impagliazzo ha confermato di voler proseguire sulle orme di Francesco, condividendo il sogno di «una Chiesa popolo di tutti, nessuno escluso, perché la misericordia del Signore tocchi il cuore di tutti, senza esclusioni». La Comunità è nata il 7 febbraio 1968 per volontà di Andrea Riccardi, all’epoca studente del liceo Virgilio, e di altri compagni di scuola. Nel 1973 prende il nome di Sant’Egidio dall’antico convento situato nel cuore di Trastevere che ne diventa centro nevralgico della preghiera e delle attività. Da quel piccolo convento il movimento ha messo radici in oltre 70 Paesi del mondo, basando la propria attività sulla preghiera, l’impegno accanto ai poveri e per la pace. Ma è con Roma che Sant’Egidio ha «un legame stretto, un’alleanza che unisce e arricchisce ambedue», ha affermato il cardinale, spiegando che Roma è sinonimo di «universalità, fraternità, apertura all’altro», in una sola parola «pace». Nella Capitale «nessuno è straniero» e la Comunità, attraverso progetti di accoglienza e di integrazione, ultimo in ordine di tempo i corridoi umanitari – che fino a oggi ha permesso a oltre 3mila rifugiati di giungere in sicurezza in Italia e altri Paesi europei -, rende concreto il desiderio di rendere «il mondo una casa comune, una “patria universale” per tutti i popoli».

Sant’Egidio, ha proseguito Parolin, «vive questa “romanità”. Non è nazionalismo o chiusura, che sono reazioni in fondo infantili dinanzi al grande mondo globale, che sembra invasivo. Romanità vera è universalità. Solo all’insegna dell’universalità Roma potrà davvero rinascere. Universalità è vivere per gli altri, integrare gli altri, ma anche sentire il legame con i popoli del mondo, europei, mediterranei ma anche lontani, cui ci unisce la cattolicità della Chiesa». Impagliazzo, facendo eco alle parole del cardinale, ha aggiunto che la Comunità guarda «al futuro di Roma come una città fraterna. Verso questo sogno si muove una Comunità in uscita verso le periferie della città e del mondo», lavorando «per superare i conflitti, le logiche di divisione e ricucire il tessuto della società laddove è lacerato».

Circa cinquemila persone hanno partecipato alla liturgia. Accanto ai fedeli e agli amici della Comunità – anziani in difficoltà, senza dimora, persone con disabilità, immigrati-, i rappresentanti delle altre Chiese presenti a Roma, diversi ambasciatori e tante autorità militari e civili come il ministro dell’interno Luciana Lamorgese e il vice ministro degli Esteri Emanuela Del Re. Tra i concelebranti decine di sacerdoti, vescovi e cinque cardinali che hanno affiancato Parolin al momento della consacrazione: il decano Giovanni Battista Re, Kevin Farrell, Walter Kasper, Joseph Coutts, Antonio Vegliò.

Nel discorso di Parolin anche il tema della costruzione della pace e la memoria invece dei tanti luoghi in cui «vediamo crescere egoismi, risorgere i nazionalismi, moltiplicarsi divisioni e muri, diffondersi la violenza, mentre troppi odi scorrono nelle vene della società» mettendo a rischio «la convivenza pacifica e democratica. Non possiamo guardare rassegnati – ha concluso -. La nostra risposta non è la contrapposizione ma far risplendere ancor più la luce delle “opere buone”, che cambiano, trasformano la solitudine in comunione, i conflitti in pace, la rassegnazione in speranza di un nuovo futuro».

10 febbraio 2020