Papa in Lussemburgo: «Per la pace, oneste trattative e onorevoli compromessi»

Concluso il viaggio nel «Paese dalle porte aperte», chiamato a essere «modello» di unità e solidarietà, in un’Europa sfigurata dalla guerra e immemore della sua storia

Dal Lussemburgo, «Paese dalle porte aperte», una delle tre sedi ufficiali dell’Unione europea, Papa Francesco parla ad un intero continente sfigurato dalla guerra e immemore della sua storia. Per raggiungere la pace e sanare questa «pericolosissima sclerosi» – l’appello alle autorità – servono «oneste trattative» e «onorevoli compromessi, che nulla pregiudicano e che invece possono costruire per tutti sicurezza e pace», evitando «inutili stragi» che hanno costi umani altissimi, perché «la guerra è sempre una sconfitta».

«La tutela della dignità della persona, il servizio al bene comune, il dialogo e la collaborazione internazionale» rendono grande uno Stato, scrive Francesco sul Libro d’Onore. «La ricchezza è una responsabilità», l’accoglienza di chi bussa alla nostra porta è un dovere, così come l’essere custodi e non despoti del creato. «Il Lussemburgo, con la sua storia peculiare, con la sua altrettanto peculiare posizione geografica, con poco meno della metà degli abitanti provenienti da altre parti dell’Europa e del mondo, sia di aiuto e di esempio nell’indicare il cammino da intraprendere per accogliere e integrare migranti e rifugiati – l’auspicio del Papa -. Voi siete un modello di questo». E ancora: «Per favore, più bambini!», l’invito a un Paese che vanta uno dei Pil più alti del mondo.

«Purtroppo – ha denunciato il Papa nel suo primo discorso in Lussemburgo – si deve constatare il riemergere, anche nel continente europeo, di fratture e di inimicizie che, invece di risolversi sulla base della reciproca buona volontà, delle trattative e del lavoro diplomatico, sfociano in aperte ostilità, con il loro seguito di distruzione e di morte. Sembra proprio che il cuore umano non sappia sempre custodire la memoria e che periodicamente si smarrisca e torni a percorrere le tragiche vie della guerra», il grido d’allarme di Francesco, secondo il quale «per sanare questa pericolosissima sclerosi, che fa ammalare gravemente le nazioni e rischia di gettarle in avventure dai costi umani immensi, rinnovando inutili stragi, occorre alzare lo sguardo verso l’alto, occorre che il vivere quotidiano dei popoli e dei loro governanti sia animato da alti e profondi valori spirituali, che impediscano l’impazzimento della ragione e l’irresponsabile ritorno a compiere i medesimi errori dei tempi passati, aggravati per giunta dalla maggiore potenza tecnica di cui l’essere umano ora si avvale».

Un Paese che, «ammaestrato dalla sua storia – la storia è maestra della vita – a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, si è distinto nell’impegno per la costruzione di un’Europa unita e solidale, nella quale ogni Paese, piccolo o grande che fosse, avesse il suo proprio ruolo, lasciando finalmente alle spalle le divisioni, i contrasti e le guerre, causate da nazionalismi esasperati e da ideologie perniciose. Le ideologie sempre sono un nemico della democrazia». Così il Papa ha definito il Lussemburgo, «al crocevia delle più rilevanti vicende storiche europee. La solida struttura democratica del vostro Paese, che ha a cuore la dignità della persona umana e la difesa delle sue libertà fondamentali, è la premessa indispensabile per un ruolo così significativo nel contesto continentale», il tributo di Francesco: «Non è l’estensione del territorio o il numero degli abitanti la condizione indispensabile perché uno Stato svolga una parte importante sul piano internazionale, o perché possa diventare un centro nevralgico a livello economico e finanziario. Lo è invece la paziente costruzione di istituzioni e leggi sagge, le quali, disciplinando la vita dei cittadini secondo criteri di equità e nel rispetto dello stato di diritto, pongono al centro la persona e il bene comune, prevenendo e contrastando i pericoli di discriminazione e di esclusione».

Sulla scorta di Giovanni Paolo II, che ha visitato il Paese 40 anni fa, il Papa ha rinnovato l’appello «affinché si instaurino relazioni solidali tra i popoli, in modo che tutti possano diventare partecipi e protagonisti di un ordinato progetto di sviluppo integrale. La dottrina sociale della Chiesa indica le caratteristiche di tale progresso e le vie per raggiungerlo. Lo sviluppo, per essere autentico e integrale, non deve saccheggiare e degradare la nostra casa comune e non deve lasciare ai margini popoli o gruppi sociali», ha ribadito Bergoglio a partire da due principi cardini del magistero sociale della Chiesa: la cura del creato e la fraternità.

«La ricchezza – non dimentichiamolo – è una responsabilità – il monito -. Pertanto chiedo che sia sempre vigile l’attenzione a non trascurare le nazioni più svantaggiate, anzi, che esse siano aiutate a risollevarsi dalle loro condizioni di impoverimento. Questa è una via maestra per fare in modo che diminuisca il numero di quanti sono costretti a emigrare, spesso in condizioni disumane e pericolose». Dalla cattedrale di Notre Dame, il Papa ha esortato anche la comunità cattolica a rimanere fedele alla secolare tradizione di accoglienza, «continuando a fare del vostro Paese una casa amica per chiunque bussi alla vostra porta chiedendo aiuto e ospitalità».

Alla Chiesa «fanno male i cristiani tristi. Non perdere la capacità di perdono», le ultime indicazioni di rotta pronunciate a braccio. (M. Michela Nicolais)

27 settembre 2024