Papa Giovanni XXIII: «Promuovere la rieducazione dei detenuti»

Il presidente Giovanni Paolo Ramonda commenta i dati della relazione annuale del Garante. «Il problema è la mancanza di percorsi edutivi reali nelle carceri»

«Le carceri devono promuovere la rieducazione del detenuto». Il presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII Giovanni Paolo Ramonda commenta i dati della relazione annuale del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale Mauro Palma presentata ieri, 27 marzo, alla Camera dei deputati, alla presenza, tra gli altri, del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Per Ramonda, «il sovraffollamento non è il vero problema. Il vero problema è la mancanza di percorsi educativi reali all’interno delle carceri. È questa la ragione per cui la tendenza a commettere di nuovo reati è così alta, con la conseguenza che il numero dei detenuti è sempre alto».

Un altro indicatore da prendere in seria considerazione è il tasso di suicidi così elevato, che «dice della mancanza di speranza che le persone vivono all’interno delle carceri. Le comunità per carcerati – osserva il presidente della Papa Giovanni XXIII – sono importanti in quanto sono luoghi in cui la persona possono ricominciare una nuova vita dopo aver sbagliato, sono l’alternativa alla costruzione di nuove carceri».

Una scommessa, quella della rieducazione dei detenuti, sulla quale la Comunità fondata da don Oreste Benzi ha scelto di investire fino dal 2004, con l’apertura della prima Comunità educante con i carcerati (Cec). Oggi in tutta Italia sono 6: strutture per l’accoglienza di carcerati che scontano la pena attraverso misure alternative alla detenzione, nelle quali «i detenuti sono rieducati attraverso esperienze di servizio ai più deboli», spiegano dalla Comunità. A oggi in queste case sono presenti 61 detenuti. Negli ultimi 10 anni sono state accolte 565 persone. Nell’ultimo anno le giornate di presenza sono state 12.199.

28 marzo 2019