Paolo VI alla Garbatella, una visita che è un ritorno

Il racconto del parroco di San Francesco Saverio, don Diego Bona, sul numero di Roma Sette dell’11 aprile 1976: «Lo abbiamo sentito nostro»

La notizia della visita del Santo Padre ha colto tutti noi di sorpresa, mentre eravamo impegnati in un cammino quaresimale e attendevamo di vedere ultimato e consacrato il nuovo altare che ci siamo proposti di realizzare a ricordo dell’Anno Santo. La sorpresa si è subito colorata di gioiosa attesa, che è man mano cresciuta col passare dei giorni. Perché la nostra gente è popolo romano, con tutte le caratteristiche che appartengono ai romani: piuttosto disincantati per gli avvenimenti che accadono, facili spesso alla battuta anche caustica e irriguardosa, ma gente che vuol bene profondamente al Papa perché lo sente di casa, lo sente romano. Costituiva poi un motivo di particolare gioia per noi che il Santo Padre presiedesse la liturgia domenicale nella nostra chiesa parrocchiale rinnovata secondo quanto richiede l’attuale celebrazione liturgica: quasi un incoraggiamento allo sforzo di partecipazione dei fedeli che hanno contribuito generosamente.

Negli ultimi giorni si era aggiunta poi un’altra ragione di attesa: i cristiani si sono sentiti offesi da ingiurie calunniose e irresponsabili di certa stampa nei confronti del Papa e volevano dirgli da vicino la loro fedeltà. E così, domenica 4 aprile, la nostra parrocchia è andata incontro al Papa. Non è una mia valutazione che potrebbe essere poco attendibile ma le persone di qui, che vivono nel quartiere da quarant’anni, dicono che c’era tutta la Garbatella. I fanciulli, innanzitutto, stipati nel cortile dell’oratorio che non è capace di contenerli tutti. Anche i più piccoli, portati in braccio dai genitori o accompagnati dalle maestre di asilo. Hanno intessuto un dialogo fitto col Papa, per nulla intimoriti dall’apparato circostante, rispondendo vivacemente alle sue domande ed alle sue esortazioni.

E poi la gente del quartiere. Una parte aveva trovato posto nella chiesa ma i più hanno dovuto fare chiesa della piazza antistante, nella partecipazione attenta alla riunione di preghiera che è iniziata in attesa dell’arrivo del Santo Padre e veniva trasmessa all’esterno. Una riunione di preghiera ritmata sui tempi quaresimali della purificazione, della luce e dell’acqua viva, quasi una veglia di preghiera che prepara la celebrazione festosa. E poi, il grande caloroso prolungato applauso che ha accolto Paolo VI al suo ingresso in chiesa, un applauso vivo sgorgava dal cuore, che sottolineava, pur soffocandolo, il canto «rallegrati, Gerusalemme…».

Quando il Papa ha iniziato a parlare la gente si è subito sentita a suo agio perché egli ricordava luoghi e fatti e persone familiari ai più (la via delle Sette Chiese, la scuola della Garbatella, l’oratorio dei Filippini, la cupola di San Francesco Saverio…) e così, con una felice scelta di temi, ha risposto a quelle attese dei fedeli di cui parlavamo all’inizio. Lo abbiamo sentito «nostro», non lontano, non distante, non venuto dall’alto. Ma quando ha parlato del mistero di comunione che unisce tutti i fedeli, anche se non si conoscono, e li fa fratelli, abbiamo avvertito, con una sensazione che non si può tradurre ma solo sperimentare, il significato di quella figura fragile che presiede, che ha il dovere di presiedere tutta la Chiesa. Eravamo molti, ma pochi in confronto della moltitudine dei credenti che vivono nel mondo «dal Giappone all’Argentina», ma sentivamo che la Chiesa era li, perché il Papa era con noi.

C’è stato un momento quasi di brivido quando Egli ha parlato, con una inflessione nella voce che tradiva la sua commozione, della Croce e del mistero della sofferenza. Molti di noi hanno pensato in quel momento alla sua sofferenza, all’offesa che lo aveva accomunato con il Cristo umiliato e deriso. C’era un silenzio profondo, ma parlava più che l’applauso. Poi il Papa ci ha lasciati, dopo aver salutato quanti, ed erano i più, pazientemente avevano atteso fuori della chiesa ed avevano seguito anch’essi il sacro rito. Ci ha fatto l’augurio di Buona Pasqua, poi, sommessamente, ha chiesto di pregare per lui. E questo ce lo rende ancora più vicino, ancora più caro, ancora più Padre. (don Diego Bona – Parroco)

11 aprile 1976