Il 19 luglio di 27 anni fa una bomba della mafia uccideva in via D’Amelio, a Palermo, Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta: gli agenti Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Claudio Traina. Una Fiat 126 imbottita d’esplosivo veniva fatta saltare in aria sotto la casa della madre del magistrato. Una morte in qualche modo annunciata, arrivata 57 giorni dopo la strage di Capaci, in cui moriva il giudice Giovanni Falcone insieme alla moglie e agli agenti della scorta.

Nei giorni scorsi sono stati diffusi gli audio della Commissione parlamentare antimafia in cui si sente la voce dello stesso Borsellino, che racconta le difficoltà del pool antimafia già nel 1984. Oggi, 19 luglio, l’Italia intera lo ricorda. A cominciare dalla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. «Libertà, giustizia, coraggio, rigore morale: ancora oggi, a 27 anni di distanza dalla strage di via D’Amelio, il ricordo degli ideali che animavano Paolo Borsellino e ai quali egli improntò tutta la sua vita privata e professionale è vivo e pulsante nella memoria collettiva del Paese – le parole di Casellati -. Un segno indelebile dell’esempio che Borsellino ancora oggi incarna per tante generazioni di italiani».  Quindi un pensiero ai familiari di Borsellino e degli uomini della sua scorta, a cui la presidente del Senato esprime vicinanza. «Il dovere delle istituzioni – aggiunge – deve essere quello di sostenerli fino in fondo nella ricerca della verità assoluta dei fatti. Finché ciò non avverrà e finché le organizzazioni criminali non verranno definitivamente disarticolate e sconfitte, il loro ricordo non potrà mai dirsi davvero onorato». Per Casellati, «è guardando a figure come Paolo Borsellino che i magistrati e le istituzioni giudiziarie italiane possono e debbono attingere le energie per rinnovare ogni giorno il loro impegno in nome della giustizia e della legalità».

Nel pomeriggio il magistrato e la sua scorta saranno ricordati a Palermo in una Messa nella chiesa di San Francesco Saverio, presieduto dal rettore don Cosimo Scordato. E proprio dal sacerdote arriva una proposta: «Paolo Borsellino sia riconosciuto martire a causa della giustizia». Don Scordato descrive il profilo di Paolo Borsellino come di «una persona che è stata capace di affrontare anche il rischio di un martirio a causa della giustizia. Ci sarebbero gli estremi per considerarlo martire nel senso evangelico». Anche perché, evidenzia il sacerdote, «lui era un credente.  Frequentava la chiesa, partecipava alle celebrazioni. Era una persona unitaria nella sua concezione di vita. Viveva il suo lavoro e il suo impegno istituzionale con la sua identità cristiana». Quindi, ricordando che «Borsellino era sempre presente nonostante le distanze dei luoghi in cui si trovava a lavorare», don Scordato ne segnala le «espressioni di vitalità che vorremmo condividere, non pensando a una santità da sacrestia, di quelle impacchettate che ci vengono offerte in certi modelli o narrazioni». Quello di Paolo Borsellino, a suo avviso, «si può considerare un “martirium in odium justitiae”, perché la giustizia – non in senso di adempimento di una legge ma in senso pieno -, come una cosa che ha diritto di esistere, è un nome di Dio».

19 luglio 2019