Padre Sporschill, una vita per i bambini poveri

Il religioso gesuita a Roma per presentare il libro scritto con don Stimamiglio racconta la sua storia con i piccoli di strada. E l’amicizia con il cardinale Martini

Il religioso gesuita a Roma per presentare il libro scritto con don Stimamiglio racconta la sua storia con i piccoli di strada. E l’amicizia con il cardinale Martini

«Finché il Signore mi darà le forze voglio lavorare per i bambini poveri. È la cosa più bella che possa fare. E fino alla fine mi domanderò: in che modo posso ancora aiutarli?». Ha ben chiaro il suo futuro padre Georg Sporschill, il gesuita austriaco che da oltre vent’anni è a fianco dei bambini nelle realtà più emarginate d’Europa. Prima a Bucarest, dove è stato per 24 anni creando “Concordia” la grande famiglia che ha permesso a decine e decine di ragazzi di strada di avere un’istruzione e diventare grandi, e ora in Transilvania, in tre piccoli villaggi, dove la situazione è ancora più difficile, dove la mancanza di istruzione è totale, dove a farla da padrone è la povertà assoluta. Padre Georg è in questi giorni a Roma per presentare il libro “Chi salva una vita, salva il mondo intero”, il racconto della sua vita e della sua opera raccolto dal giornalista e sacerdote paolino don Stefano Stimamiglio che da anni lo segue nella sua missione.

«Vengo da una famiglia di nove figli – racconta il religioso – e la mia storia con i bambini è iniziata da quando io stesso ero un bambino. Ho imparato tutto ciò che i miei genitori mi hanno insegnato, è grazie a loro che ho scoperto la mia strada». Una strada travagliata: diventa gesuita a 30 anni, dopo aver studiato in seminario a Innsbruck. Poi, improvvisamente, lascia gli studi e nel 1968 partecipa ai moti di Parigi. Studia pedagogia e comincia a lavorare. Poi, intorno ai 30 anni, grazie all’amicizia con un gesuita, capisce che quella è la sua strada. È ordinato sacerdote quasi subito e per due anni lavora in una parrocchia a Vienna. Qui, gli viene assegnato l’ufficio caritativo e lui inizia ad occuparsi di tossicodipendenti, barboni ed ex carcerati. Dal nulla crea delle comunità. «Poi nel 1990 – ricorda – il mio superiore mi invia a Bucarest. Il regime di Nicolae Ceausescu era appena finto: orfanotrofi e carceri erano stati aperti. I bambini vivevano nelle fogne perché era l’unico posto dove potevano stare un po’ al caldo». Arriva a Bucarest con due volontari e crea la comunità “Concordia”: ogni giorno scende nelle fogne a tirar fuori i bambini. Pensa soprattutto a un percorso a tappe per portare i ragazzi ad un livello «civile», perché poi possano camminare da soli. Li attira con la musica, il suo modo per offrire loro l’esperienza di una cosa bella. «Non avevano alcuna possibilità di studiare – riferisce – di leggere o scrivere. Io ho creato delle nuove famiglie, dove loro hanno potuto studiare, mangiare; ho insegnato loro a pregare. Ho voluto creare per loro una possibilità di vita. Spesso li incontro anche oggi: hanno intorno ai 30 anni o sono studenti. Sono molto orgoglioso di loro, mi chiamano il loro grande padre. Sono felice di vedere che la mia famiglia va avanti e che produce altre buone famiglie».

I bambini rumeni di padre Georg, oggi adulti, hanno preso in mano la comunità quando, tre anni fa, il gesuita decide di andare in Transilvania, raccogliendo l’appello di un suo amico sacerdote. In Romania il suo lavoro è finito: il Paese è entrato in Europa, i bambini per le strade non ci sono più. Insieme alla sua assistente e ad alcuni ex bambini rumeni che l’hanno seguito, in Transilvania ha trovato una situazione oltre il limite dell’immaginazione, dove la povertà regna sovrana, dove l’incesto è molto diffuso, l’istruzione assente; dove manca il lavoro, il cibo, la dignità. «Ho iniziato con la scuola di musica. Poi mi aiutano i miei ex bambini rumeni che bussano alle porte delle famiglie, parlano con i genitori e offrono ai bambini la possibilità di lavarsi e mangiare. Lì arrivano ad uccidere per mangiare».

La forza per affrontare ogni giorno nuove battaglie padre Georg la trova nei bambini che aiuta. «La cosa più bella – dice – è che siamo una famiglia: i bambini poveri che seguiamo sono quelli che quando vengono a trovarmi, parlano con me, mi danno una forza incredibile per andare avanti. Naturalmente, la sera sono stanco, ma l’amore che ricevo è molto più grande della fatica costata. Ho molti amici che mi aiutano, sono buoni amici e per questo sono molto, molto ricco».

Padre Sporschill adora Papa Francesco, «non solo perché è gesuita come me – ammette sorridendo – ma perché è uno straordinario operatore sociale. Lui conosce i bisogni della gente, è autentico, dice cose non teoriche, per questo è credibile». E ricorda con affetto il cardinale Martini, scomparso nel 2012, a cui lo ha legato una profonda amicizia. «Attraverso piccoli segnali mi ha donato un grande amore, mi ha sempre domandato e mai giudicato. Era un fratello, un amico, una persona straordinaria. Oggi direbbe che la Chiesa deve saper ascoltare, più che in passato. E poi camminare insieme, passo dopo passo, in pace. Perché il vivere insieme ci faccia più forti e non ci distrugga reciprocamente».

Il libro “Chi salva una vita, salva il mondo intero” scritto da don Stefano Stimamiglio (Edizioni Paoline) racconta la vita e l’opera di padre Georg Sporschill. «Si divide in due parti – racconta l’autore -: una dedicata alla sua vita, l’altra alla sua storia pedagogica sviluppata per amore profondo del povero. Lui testimonia ciò che dice Papa Francesco quando parla della Chiesa in uscita, in mezzo alla gente». Per il futuro padre Georg ha le idee piuttosto chiare: «Continuerò a fare quello che faccio, finché il Signore mi darà la forza -ammette -. Ho la fortuna che molti bambini che ho aiutato oggi sono grandi e a loro volta mi aiutano nel mio lavoro. Due di loro, tempo fa, litigarono per decidere chi un giorno avrà il diritto di spingere la mia sedia a rotelle quando sarò vecchio. Spero – dice sorridendo – che almeno uno di loro due decida di rimanere».

11 marzo 2015