Padre Hamel e le Missionarie della Carità uccise in Yemen: la “bellezza del dono di sé”
A San Tommaso Moro l’incontro promosso dal gruppo Nuovi Martiri, col sostegno del Centro missionario diocesano. Il vescovo Ambarus: «Esiste anche un martirio quotidiano della fede, che è esso stesso annuncio di Vangelo»
Martiri della carità e testimoni di fede capaci di «piccole cose ordinarie fatte con un amore straordinario, ovvero con la consapevolezza che porta con sé il donare tutto». A cinque anni dalla loro uccisione, così il vescovo ausiliare Benoni Ambarus ha ricordato ieri sera, 3 giugno, padre Jacques Hamel, 85 anni, assassinato da due giovani terroristi mentre celebrava la Messa a Saint-Etienne-du-Rouvray, in Francia; e quattro suore Missionarie della Carità, la congregazione fondata da Madre Teresa di Calcutta, morte per mano di un commando armato mentre stavano servendo la colazione agli anziani della casa di riposo di Aden, nello Yemen. Si chiamavano suor Anselm, suor Judith, suor Margarita e suor Reginette e provenivano rispettivamente da India, Kenya e, le ultime due, dal Ruanda.
“La bellezza della fede e del dono di sé”: questo il tema della serata, scandita da un momento di preghiera e riflessione, che si è svolta nella parrocchia di San Tommaso Moro, con il sostegno del Centro missionario diocesano e per iniziativa del gruppo Nuovi Martiri, costituito dalle associazioni Archè, Finestra per il Medio Oriente e “Aiutiamo la Siria! Onlus”, dalla parrocchia Sant’Innocenzo I Papa e San Guido Vescovo e dalla Comunità Missionaria di Villaregia.
«Questa è l’occasione per mettere a fuoco una realtà molto importante per la Chiesa, ovvero il sangue dei martiri che per vocazione “innaffiano” la fede degli altri cristiani – ha detto Ambarus durante l’omelia, commentando il passo del Vangelo di Marco (capitolo 12) in cui al centro c’è l’insegnamento di Gesù sul più grande comandamento, quello dell’amore verso Dio e il prossimo -. La relazione che Dio ci chiede di avere è di totale unicità ed esclusività. Non c’è cosa che di noi non desidera, inclusa la parte non guarita, dolorante, oppressa e impaurita». Da qui l’invito a «rinnovare il nostro “tutto” al Signore, in particolare ciò di cui ultimamente ci siamo appropriati». Infine, ricordando l’eredità spirituale di padre Jacques e delle quattro suore, ha sottolineato come «esista un martirio quotidiano della nostra fede, fatta di piccoli gesti e vissuta con il cuore, che è esso stesso annuncio di Vangelo».
Alla celebrazione eucaristica ha fatto seguito l’incontro, moderato dal parroco monsignor Andrea Lonardo, con la vaticanista e corrispondente da Roma per “La Vie” Marie-Lucile Kubacki, la quale ha tratteggiato la figura del sacerdote francese, descrivendo le circostanze del suo martirio: «“Vattene Satana!” sono le ultime parole pronunciate da padre Hamel prima di essere ucciso e rappresentano una chiave per interpretare non solo questo orribile attacco, ma anche la sua vita – ha detto -. Queste parole sono una preghiera molto forte di liberazione per il suo assassino e dal Male». Sobrio nello stile di vita e cordiale nei rapporti con il prossimo, padre Jacques, per il quale è in corso il processo di beatificazione, «era un prete come tanti, uno di quegli esempi di santità ordinaria di cui parla Papa Francesco».
L’incontro è stato anche l’occasione per riflettere sulla tensione religiosa vissuta in Francia, dove nei giorni scorsi un corteo di fedeli della arcidiocesi di Parigi che commemorava i martiri della Comune è stato gravemente attaccato: «Il Paese si trova con questo “cocktail” esplosivo di non conoscenza della religione, atti terroristici commessi in nome dell’Isis e inasprimento del secolarismo, in un contesto di cambiamento del panorama religioso», ha commentato Kubacki, concludendo che «tra cattolici e non credenti il martirio di padre Jacques ha comunque risvegliato qualcosa. Attraverso il dono della sua vita è stato infatti segno di unità».
4 giugno 2021