Padre Cantalamessa: «Riconciliarsi è un esodo»

Il predicatore della Casa pontifica è intervenuto all’incontro organizzato dall’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali a Santa Maria in Montesanto

Il predicatore della Casa pontifica è intervenuto all’incontro organizzato dall’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali a Santa Maria in Montesanto 

Non una conferenza, né una catechesi ma un «esodo», un cammino in quattro tappe alla riscoperta del sacramento della confessione. Così padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia, ha aperto, venerdì 18 marzo, l’incontro “Misericordia e perdono nel sacramento della riconciliazione” promosso dall’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Roma nella basilica di Santa Maria in Montesanto, nota come chiesa degli Artisti, a piazza del Popolo.

«Si tratta di un esodo vero e proprio per raggiungere spiritualmente la Terra Promessa» ha detto padre Raniero. La prima tappa da compiere per ogni cristiano che «vuole effettuare il passaggio pasquale dalla schiavitù del peccato alla libertà di figli di Dio» è riconoscere il peccato per poi passare al pentimento, ovvero la metanoia «l’assumersi la responsabilità di quello che non va nella nostra vita». Terza tappa: l’inversione di rotta, «rompere definitivamente con il peccato, dire basta alla sua connivenza e complicità» per giungere finalmente al sacramento della riconciliazione «nel quale interviene Dio con la Sua potenza per distruggere il male che si è fatto. Solo così anche noi, come il popolo d’Israele, potremo intonare il cantico di Mosè e dire ‘ha gettato in mare cavallo e cavaliere’ cioè il demonio e i nostri peccati».

In riferimento al primo passo da compiere con l’esame di coscienza ha evidenziato che «oggi il mondo ha perso il senso del peccato. Si parla solo di senso di responsabilità». Ha quindi analizzato i 10 comandamenti. Parlando del settimo, ‘Non dire falsa testimonianza’, ha rivolto un invito specifico agli operatori della comunicazione: «non dite il falso, non esagerate nel condannare una persona prima che la sua colpa sia effettivamente riconosciuta. Non sbattete il mostro in prima pagina. Va bene rivelare le magagne ma mantenendo sempre il rispetto per la persona coinvolta».

La seconda tappa «è un po’ più interiore – ha proseguito – perché nel pentimento c’è qualcosa di meraviglioso in quanto Dio, con tutta la sua onnipotenza, non può fare un cuore contrito e umiliato. Quello spetta alla libertà dell’uomo. Ecco perché il pentimento è qualcosa di miracoloso, l’unica porta possibile per sperimentare quest’Anno di grazia». La terza tappa richiede un cambiamento dello stile di vita. «Nessuno pretende di diventare impeccabile da un momento all’altro – ha detto il predicatore della Casa pontificia – ma una volta riconosciuto il peccato bisogna immediatamente invertire la marcia, senza indugi e senza rinvii, per dimostrare a noi stessi e agli altri che siamo cristiani seri».

Ultima tappa: la confessione «che non è stata inventata dai preti – ha sottolineato padre Raniero – ma istituita da Gesù perché Dio aveva bisogno di uno strumento umano: per sentirci liberati dai pesi che abbiamo sulla coscienza abbiamo bisogno di verbalizzarli e tirarli fuori per ottenere il perdono». «Durante l’incontro ci siamo sentiti portati per mano, abbiamo gustato la misericordia che possiamo sperimentare nella confessione» ha detto il rettore della chiesa degli Artisti don Walter Insero .

In occasione dell’Anno della Misericordia
e della Pasqua, è stata installata in Basilica un’opera appositamente studiata per la chiesa, dell’artista israeliano Shay Frish. Si tratta di una croce posta sul pavimento lunga 10 metri e composta da 12.804 luci. «Chi entra in Basilica – ha detto don Walter – s’imbatte in quest’opera che intende ferire il cuore del fedele o del visitatore distratto, portandolo ad interrogarsi dinanzi alla testimonianza di amore di un Dio crocifisso».

 

21 marzo 2016