Oscar Romero, una santità a misura di popolo

Alla vigilia della canonizzazione, l’incontro nella parrocchia del Santissimo Sacramento dedicato all’arcivescovo martire di San Salvador, che sarà canonizzato il 14 ottobre insieme a Paolo VI. Il ricordo di chi lo ha conosciuto

L’incontro “Con mi pueblo”, ossia “Con il mio popolo” ha aperto ieri sera, domenica 7 ottobre, la settimana di eventi in onore di Oscar Arnulfo Romero l’arcivescovo di San Salvador assassinato il 24 marzo 1980, che domenica prossima, 14 ottobre, sarà proclamato santo insieme a Paolo VI e ad altri cinque beati. La serata è stata organizzata dall’associazione Sal (Solidarietà con l’America Latina) e dalla comunità salvadoregna di Roma, presieduta da Nimia Aguilares, nel salone parrocchiale della chiesa Santissimo Sacramento. Una comunità legata a doppio filo alla storia dell’arcivescovo martire, avendo come titolare l’attuale vescovo ausiliare di San Salvador, il cardinale José Gregorio Rosa Chàvez.

Don Luca Pandolfi, ordinario di antropologia culturale alla Pontificia Università Urbaniana e cappellano della comunità salvadoregna a Roma, composta da oltre 3mila persone, ha guidato le testimonianze di chi conosceva bene il martire. Padre Fredis Sandoval, fondatore e coordinatore della Concertación monsignor Romero, nata per fare piena luce sull’omicidio e avere giustizia, ricorda perfettamente il giorno del primo incontro con l’arcivescovo. Era il 1° febbraio 1975 e Sandoval frequentava il seminario. Per i successivi due anni monsignor Romero sarebbe stata la sua guida spirituale. Si incontravano una volta al mese e ricorda in modo particolare l’accoglienza e la semplicità con la quale si accostava a tutti, la sua disponibilità al dialogo e al confronto. Oggi non trova le parole per esprimere ciò che prova a pochi giorni dalla canonizzazione. La sua gioia più grande è che «ora il suo messaggio profetico sarà noto alla Chiesa universale». Sull’esempio di Romero ha proseguito la sua azione di impegno nel sociale.

Sofía Hernández è testimone e vittima di violazioni dei diritti umani durante la guerra civile che dilaniò il Paese tra il 1980 e il 1992. Molto impegnata socialmente, è membro dell’associazione Codefam che riunisce i familiari dei prigionieri e dei desaparecidos durante il conflitto. Ha conosciuto Romero nel 1975 quando era catechista. Con altri parrocchiani seguiva e meditava le omelie del vescovo. «Concretizzavamo i suoi insegnamenti nel quotidiano e questo è stato l’inizio delle persecuzioni». Sotto i suoi occhi sono stati uccisi due catechisti e feriti il nipote e il cognato. Si commuove ricordando i fratelli e il cugino, scomparsi tra il 1980 e il 1981, anno in cui fu assassinato anche il marito. Secondo la Commissione della verità, istituita sotto l’egida dell’Onu, i morti nel Paese latinoamericano furono 80mila in dodici anni. L’amnistia proclamata nel 1993, poco dopo la pubblicazione del documento della Commissione, fece sì che rimanessero impuniti i crimini più gravi commessi durante il conflitto. «Le persecuzioni mi hanno confermato nella fede – ha detto -. Avevo ben impressa nella mente la frase di Romero: “Se mi uccidono risorgerò nel mio popolo”. Il suo insegnamento mi ha dato la forza».

Oscar Romero fu assassinato mentre celebrava l’Eucaristia nella cappella dell’ospedale oncologico della Capitale salvadoregna, dove risiedeva dopo aver rifiutato il palazzo episcopale. Non è mai stata portata a termine l’indagine né il processo penale per stabilire i responsabili materiali e i mandanti del delitto. Come ha ricordato don Luca Pandolfi, fu fatta una autopsia sommaria e il magistrato che iniziò le indagini fu minacciato di morte e fu costretto a lasciare il Paese dopo tre giorni. Da anni membri della Chiesa cattolica e salvadoregni chiedono verità e giustizia, la riapertura delle indagini e l’individuazione dei responsabili e numerose prove sono state già raccolte dalla Corte interamericana dei Diritti umani e da altri tribunali americani e internazionali.

8 ottobre 2018