Orp: pellegrinaggio esperienza di misericordia

Nel corso del convegno organizzato dall’Orp sono intervenuti i cardinali Pietro Parolin e Gianfranco Ravasi e monsignor Rino Fisichella

Nel corso del convegno organizzato dall’Opera romana pellegrinaggi sono intervenuti i cardinali Pietro Parolin e Gianfranco Ravasi e monsignor Rino Fisichella

«Nel cristianesimo, la misericordia è la consapevolezza d’essere amati e perdonati da Dio». Così il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, spiega uno dei due concetti – l’altro è il pellegrinaggio – di cui si discute, quest’anno, nel convegno dell’Orp – Opera romana pellegrinaggi, in corso a Roma fino al 18 novembre. Una tre giorni dedicata al confronto sugli aspetti spirituali, teologici ma anche organizzativi del settore dei cammini religiosi. «Il Nuovo Testamento considera la vita come pellegrinaggio e il cristiano è chiamato a mantenere una certa distanza da ciò che lo circonda. Non certo dalle leggi della città in cui vive – precisa il porporato – o dalle regole dello Stato d’appartenenza».

È piuttosto una «distanza di prospettiva», il cui senso è in quel versetto del vangelo dove Gesù invita a non accumulare «tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano» ma ad accumulare invece «tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano». Questo perché «i cristiani abitano la loro terra da stranieri, obbediscono alle leggi vigenti ma ispirandosi a leggi superiori». Passando in rassegna il valore che man mano il pellegrinaggio ha assunto nel corso dei secoli, arricchitosi con Giovanni Paolo II «anche delle Giornate mondiali della gioventù», in tutte le sue forme il cardinale vede persistere un «denominatore comune».

È «il distacco dalla quotidianità e dalla trama dei percorsi profani per andare invece incontro a Dio», scoprendo che da un pellegrinaggio non si torna indietro così come si era. Avviene invece una «conversione» o almeno una «trasformazione del cuore». Sorta di «clinica specializzata», il luogo del pellegrinaggio è infatti «un richiamo a rivedere le scelte della propria vita, secondo coscienza». «Comporta la riconciliazione», precisa il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, citando la parabola che lui definisce «più correttamente del prodigo e non del figlio prodigo». Questi ritorna – racconta l’evangelista Luca – perché si è convertito.

Nel linguaggio anticotestamentario, infatti, “convertirsi” è “shuv”, spiega Ravasi, che letteralmente «significa “ritornare” sulla pista che si era». Il porporato introduce qui anche il concetto di misericordia: «Il termine che viene utilizzato nella parabola, per descrivere la gioia del padre dinanzi a quel figlio è “splagchnizomai”: essere commosso fino alle viscere». E “splanchna”, letteralmente equivale all’ebraico “rehamîm”, “viscere”: primo termine dell’Antico Testamento con cui si allude al sentimento intimo e profondo che lega due esseri per ragioni di sangue e di cuore, come avviene nel rapporto d’amore fra genitori e figli. Un amore tutto gratuito che corrisponde ad un’esigenza del cuore.

«Dunque la misericordia è un’esperienza fondamentale del pellegrinaggio, tant’è che la comunità ecclesiale deve praticare in questo periodo anche talune opere spirituali e corporali, dal dare da mangiare agli affamati al dare da bere agli assetati, dal vestire i denudati al dare ospitalità allo straniero, fino al fare visita agli ammalati e ai carcerati perché l’unità di misura, nel giudizio finale, è quanto si è amato». La celebrazione della Messa, infine, conclude la prima giornata, che ha visto intervenire anche Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma, e il rabbino Benedetto Carucci Viterbi, preside delle scuole della Comunità, ad illustrare il tema del convegno (“Pellegrinaggio e misericordia nelle tre grandi religioni monoteiste”) nell’ottica dell’ebraismo.

A presiedere la liturgia, il vescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, cui spetta anche l’organizzazione del Giubileo, che commentando la narrazione, nel Vangelo di Luca, della guarigione del cieco, spiega: «La cecità, come ogni malattia di rilevanza sociale, per la tradizione ebraica era conseguenza del peccato». Ragion per cui «i discepoli invece di favorire l’incontro del cieco con Gesù, cercano di allontanarlo».

Non è così che devono comportarsi invece i sacerdoti: «Non dobbiamo cedere alla tentazione di impedire l’incontro con il Signore – ammonisce Fisichella -, perché siamo “amministratori” della misericordia di Dio, che è vicinanza all’uomo, soprattutto quando è lontano, perché è solo o è nel peccato». Un pensiero va anche alle vittime della strage di Parigi di venerdì 13 novembre: «Quello che è successo è di una gravità immane – è il commento di monsignor Liberio Andreatta, vicepresidente e amministratore delegato dell’Orp -. Conosciamo il terrorismo, le sue dinamiche, anche perché da 40 anni portiamo i pellegrini in Terra Santa ma è anche vero che al pellegrino non è mai stato torto un capello perché non è considerato un nemico ma un uomo di Dio, funzionale anche alla vivibilità di quei luoghi. Quanto al Giubileo, lo affrontiamo con prudenza, certo, ma anche come incoraggiamento a non scappare. È infatti un’occasione per affermare che ci si può conoscere: in fondo uno degli aspetti di cui si alimenta il terrorismo è la paura dell’altro, di colui che non conosciamo». La preghiera infine per le vittime e «per la conversione – conclude il vescovo Fisichella – di coloro che uccidono in nome di Dio».

 

 

17 novembre 2015