Odio online, la prima piattaforma legaltech contro gli hater

Attualmente in versione beta, sarà attiva dal 2020 e fornirà una serie di strumenti (gratuiti e non) per difendersi da stalking, diffamazione, revenge porn e altro ancora

Hate speech, stalking, revenge porn, cyberbullismo: se le forme d’odio cambiano e si adattano ai nuovi mezzi di comunicazione, non è detto che la stessa innovazione non possa portare anche nuove modalità per difendersi. Lo sanno bene quelli della startup innovativa a vocazione sociale COP, dove l’acronimo sta per “Chi odia paga”, ovvero la prima piattaforma legaltech in Italia che dice di essere in grado di combattere l’odio online. “Difendiamo dall’odio con il diritto”, è uno degli slogan di questa iniziativa imprenditoriale nata dalla mente di Francesco Inguscio, neanche 40 anni e imprenditore seriale con alle spalle già 14 startup avviate nel suo acceleratore “Nuvolab” a Milano, attivo dal 2011, e un’esperienza pregressa anche in Silicon Valley.

Il progetto è ambizioso ma sarà completamente fruibile soltanto a partire dal 2020. Intanto, nel laboratorio di innovazione creato da Inguscio, si sta testando la versione beta della piattaforma che aiuterà le vittime di odio, discriminazioni e abusi online ad essere tutelate in maniera più semplice e forse anche più economica rispetto alle attuali possibilità. «Il progetto nasce nel 2017 da bisogni personali – racconta Inguscio -, perché avevo notato un’escalation di insulti che non mi piaceva e ho provato ad informarmi su quali fossero le soluzioni disponibili. La prima è quella classica di rivolgersi ad un avvocato, ma c’è una questione di tempi, di costi e poi non tutti hanno i contatti di un avvocato che si occupi di diritto online. E laddove ci sono ampi margini di miglioramento, c’è un’opportunità per creare un servizio utile».

L’idea di Inguscio prende forma nel momento in cui decide di mettersi alla ricerca di un partner che si occupi di diritto applicato alla rete. «Da avvocati e amici ho avuto il nome di Giuseppe Vaciago, un avvocato penalista molto competente, inoltre consulente per Facebook e Google – racconta Inguscio -. Per Vaciago però la mia idea era una follia ma quando qualcuno mi dice che qualcosa è da pazzi la cosa mi stimola, perché probabilmente nessuno ci ha mai provato e si possono davvero cambiare le cose. Quindi ho accettato la sfida». E un primo riscontro è arrivato con il bando Siavs per Startup innovative a vocazione sociale della Regione Lombardia e Unioncamere Lombardia.«“Il nostro progetto si è piazzato primo tra più di 200 partecipanti – racconta Inguscio -. Il 2018, invece, è stato un anno passato alla ricerca di un investitore e siamo riusciti a portare questo progetto all’attenzione dell’unico fondo che fa impact investing in Italia, ovvero Oltre Venture che ha investito 200 mila euro».

Ma come sarà possibile combattere l’odio online attraverso questo progetto? Come spiega il sito web di Chi odia paga, «la piattaforma fornisce un servizio di feedback preliminare, senza valore di parere legale, relativo ad un illecito del quale l’utente ritiene di essere vittima per le ipotesi di atti persecutori (stalking), diffamazione ed hate speech, pornografia non consensuale (revenge porn), estorsione a sfondo sessuale (sextortion). Inoltre, COP s.r.l. fornisce assistenza legale, identificazione del presunto autore, richiesta di rimozione del contenuto illecito ed ulteriori servizi prescelti dall’utente». I servizi offerti saranno solo parzialmente gratuiti ma il team sta lavorando per definire al meglio costi e possibilità. «Noi non siamo partiti con l’idea di fare tutto gratis – precisa Inguscio -. L’interazione con le parti sociali ci ha fatto capire che questo servizio sarebbe utile se a pagamento, dirompente se gratuito. Ci siamo trovati di fronte ad una grossa riflessione e ci siamo detti che se vogliamo davvero cambiare le cose la gente deve poter fare un clic, avere un feedback e procedere al minor costo possibile se non addirittura gratuitamente».

Per Inguscio, il primo obiettivo è quello di «rendere accessibile a ciascuno i propri diritti» e anche fornire informazioni basilari sulle possibili strade. «Le persone normali non si imbarcano in una causa per un post di un hater, sia per la scarsa conoscenza del tema, che per la disponibilità economica. L’idea è di erogare una parte del servizio gratuitamente, un primo riscontro in modo tale che il 95% delle persone possa sentirsi tranquillizzato o perlomeno capire se quello che sta subendo è un torto oppure no. Stiamo provando a vedere se riusciamo a offrire questa parte, di concerto con i nostri investitori, in modo gratuito». Poi, se l’utente decide di andare fino in fondo, ci saranno dei costi e questo spiega anche la natura del progetto: stiamo parlando sempre di una startup, anche se ha una “vocazione sociale”, e non si tratta di un organizzazione di volontariato, anche se lo stesso Inguscio non esclude ci possano essere anche attività supportate proprio dal volontariato o dal crowdfunding, visto che ci sono già alcune richieste di collaborazione. «Ci stanno contattando in tanti – spiega l’ideatore di Chi odia Paga -: fino ad oggi sono circa un centinaio tra associazioni, avvocati e aziende interessate ad approfondire possibili collaborazioni. Ci hanno contattato anche soggetti istituzionali perché non si può pensare di fare una cosa del genere tenendo fuori chi poi la legge la applica. Dobbiamo necessariamente integrarci col soggetto istituzionale perché poi le denunce da qualche parte finiranno».

“L’odio ha i giorni contati”, spiega una altro claim del progetto, ma l’obiettivo non è quello di fare una guerra senza quartiere agli hater, quanto avviare una nuova modalità di contrasto che da una parte tuteli le persone, ma dall’altra fornisca anche tutte le informazioni utili. «Daremo un feedback immediato per far capire se quello che ha subito una persona è effettivamente un reato o una semplice critica, tutelata dalla libertà di pensiero e di espressione – spiega Inguscio -. Non bisogna fare la caccia alle streghe: magari la gente non lo sa, ma se si denuncia penalmente qualcosa che non è reato c’è la calunnia e ci sono una serie di conseguenze. Non ci interessa ingolfare il sistema: noi vogliamo buttare acqua sul fuoco, non benzina». E per farlo, Inguscio ha anche altre idee. Come quella di «un’educazione a monte da fare nelle scuole – spiega -. Se questo progetto troverà la quadra dal punto di vista economico, mi piacerebbe moltissimo donare parte dei ricavati ad associazioni che fanno educazione civica nelle scuole. L’idea è di promuovere un’educazione a monte, e non la facciamo noi, e una educazione a valle tramite gli strumenti previsti dalla legge, dove invece faremo la nostra parte».  Il bene «fatto bene deve pagare bene e fare del bene», spiega Francesco Inguscio, ma in Italia «non c’è una cultura dell’impact – continua -, se non in rarissimi casi. È già tanto se uno riesce a spiegare come una startup fa soldi. Per me questa non è solo innovazione, che è quello che fanno le startup, ma meaningful innovation, innovazione con un significato. Non si può fare una buona economia con una cattiva etica. È necessario che l’economia abbia un cuore e noi proviamo a dargliene uno».

Sull’idea di combattere l’odio online obbligando gli utenti a registrarsi con la propria carta d’identità, così come proposto nei giorni scorsi dal deputato di Italia Viva Luigi Marattin, Inguscio non ha dubbi: si tratta di un’idea «purtroppo inapplicabile tecnicamente». Secondo l’ideatore di “Chi odia paga” un punto di vista tecnico: «Gli hater non sono solo cittadini italiani. Il web è uno spazio aperto – aggiunge -. Io cittadino italiano mi identifico, ma che farà il cittadino svizzero? Già è difficile fare adottare tecnologie di identificazione tipo lo Spid a cittadini italiani per usufruire di certi servizi, figuriamoci per aprire un account social. Poi, il 95% delle persone insulta col proprio nome e cognome. Gli hater di professione che si schermano l’Ip con Tor, che usano account con Ip stranieri come sempre non saranno mai presi, mentre gli altri li prenderesti in un altro modo. È solo un elemento di discussione politica, un dibattito pretestuoso».

11 novembre 2019