Oder: Giovanni Paolo II chiama ancora alla santità

Intervista al postulatore della causa di canonizzazione nel centenario della nascita del Papa polacco

Oggi ricorre il centenario della nascita di Karol Wojtyla (18 maggio 1920). Abbiamo chiesto un ricordo del grande Papa polacco al postulatore della sua causa di canonizzazione, monsignor Slawomir Oder.

Com’è oggi la devozione per san Giovanni Paolo II?

Ricordo una bellissima esperienza che ho vissuto nell’estremo nord del Canada, quando nel paesino di Rankin chiesi a un’anziana donna cosa rappresentasse per loro Giovanni Paolo II e la reliquia che veniva consegnata alla comunità eschimese. Mi indicò una costruzione in pietra, chiamata Inukshuk. Sta a rappresentare l’uomo che in mezzo alle nevi perenni ha trovato un luogo di accoglienza, la possibilità di sopravvivere, si è riposato e ha potuto continuare il suo cammino. Qui c’è vita, sicurezza, indicazione del cammino. Per lei era anche il significato della reliquia. I santi hanno accolto la Grazia di Dio nella loro vita e hanno trovato la strada da percorrere.

Cosa rappresenta san Giovanni Paolo per i romani?

monsignor Slawomir Oder, postulatore della sua causa di canonizzazione di Giovanni Paolo II Karol Wojtyla
monsignor Slawomir Oder

Sappiamo quanto era amato dai romani e dalla Chiesa di Roma. Spesso ricordava “Sono Papa perché sono vescovo di Roma”. Un legame forte che si esprimeva attraverso le visite nelle parrocchie, accogliendo le comunità nel Palazzo Apostolico soprattutto nell’ultima fase della sua vita, nel rapporto con le istituzioni diocesane, il Vicariato piuttosto che il Seminario romano. Sono ex alunno di quel Seminario e ricordo la visita del Papa ogni anno per la festa della Madonna della Fiducia. Diceva che il Seminario è la pupilla dell’occhio di un vescovo e lui era lì per incoraggiarci, confortarci, dirci una parola utile per la nostra formazione. Ma non era legato solo alla dimensione ecclesiale. Ricordo la splendida testimonianza di un incontro casuale con una donna. Mi disse che aveva perso due volte il padre, la prima quando era morto il papà e poi quando è morto Giovanni Paolo II. Non sarebbe nulla di strano per un credente ma questa donna poi mi disse di essere ebrea. Questo episodio esprime bene il tipo di rapporto che aveva instaurato con tutta la città.

Papa Francesco ha annunciato che domani celebrerà la Messa sull’altare del suo predecessore. Come vede il rapporto tra questi due Pontefici?

C’è molta affinità, pur nelle ovvie differenze. Ricordiamo come era sorprendente Giovanni Paolo II nel piegarsi sui malati, nell’andare verso la gente, nel lasciarsi toccare; oggi è la stessa dimensione di Papa Francesco, che ha avuto una preparazione evidente nello stile di Giovanni Paolo. Li accomuna poi l’attenzione alla Divina Misericordia, radicata nella profondità della vita spirituale e nella sensibilità nei confronti dei più bisognosi, come pure il tratto mariano. Un legame evidente è anche la Dottrina sociale della Chiesa, come spesso ha ripetuto lo stesso Papa Francesco.

La sofferenza di Giovanni Paolo II cosa ci insegna in questo tempo di pandemia?

giovanni paolo iiCi ha fatto toccare come testimonianza vissuta che nessuna sofferenza è inutile, priva di senso. Tutto va letto in chiave di amore tra l’uomo e Dio. Nella “Salvifici doloris” spiegava che il dolore umano diventa strumento per partecipare alla Croce di Cristo e che il mistero della sofferenza dell’uomo richiama a quello che definiva il vangelo del Buon Samaritano. Si può fare molto con la sofferenza vissuta in modo cristiano e si può far molto per chi soffre.

Molti hanno detto di essere rimasti impressionati dal modo di pregare di Giovanni Paolo II. Può raccontarci un esempio?

Ricordo il racconto di monsignor Magee, che fu segretario di Paolo VI, di Giovanni Paolo I e, per un periodo, anche di Giovanni Paolo II. All’inizio non conosceva bene le sue abitudini. Un giorno in cui l’allora don Stanislao era fuori, padre Magee non trovava il Papa in casa. Si spaventò e pensò che fosse uscito. Allarmò tutti per cercarlo ma quando rientrò don Stanislao, lo portò in cappella. Giovanni Paolo II non era subito visibile perché era disteso a terra a pregare.

L’eredità spirituale di san Giovanni Paolo è enorme. Se dovesse indicare un aspetto, quale sceglierebbe?

Di recente ho avuto modo di rileggere i suoi documenti sulla celebrazione del Grande Giubileo. In quella occasione il Papa puntava proprio sulla santità, dicendo che la Chiesa non solo si gioca la sua credibilità ma che è la sua ragione di vita. I cristiani possono dare risposte con la santità della loro vita. Non un concetto astratto ma tradurre l’amore di Dio nelle situazioni concrete di vita quotidiana. Giovanni Paolo II continua a chiamarci alla santità.

18 maggio 2020