Nullità matrimoniale, processi brevi e vescovo-giudice

In due lettere Motu proprio, il Papa ha voluto favorire la celerità. Abolita la necessità della doppia sentenza. Più responsabilità all’ordinario

In due lettere Motu proprio, Papa Francesco ha voluto favorire la celerità del processo. Abolita la necessità della doppia sentenza. Più responsabilità all’ordinario 

«La preoccupazione per la salvezza delle anime» rimane «il fine supremo delle istituzioni, delle leggi e del diritto della Chiesa». Discende da questa convinzione, riportata nell’introduzione delle due lettere “motu proprio” pubblicate martedì 8 settembre, l’esigenza che ha portato Papa Francesco a riformare il processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità matrimoniale, rispettivamente nel Codice di diritto canonico e nel Codice dei canoni delle Chiese orientali cattoliche.

Francesco, si evince nelle lettere Mitis Iudex Dominus Iesu e in Mitis et misericors Iesu, snellisce le procedure favorendo la celerità dei processi, non la nullità: scompare infatti la necessità della doppia sentenza conforme; basterà un solo pronunciamento in favore della nullità. Un processo più breve quindi, ma senza mettere a rischio l’indissolubilità del matrimonio. Toccherà infatti al vescovo il compito di vigilare sulle sentenze. Di fatto, l’ordinario diventerà giudice unico e avrà la possibilità di istituire un processo breve e arrivare alla sentenza. L’eventuale appello, nel caso che una delle parti voglia ricorrere contro la sentenza di primo grado, avverrà nell’arcidiocesi metropolitana a cui fa riferimento la diocesi del fedele.

Oltre alle norme riportate nelle lettere, il Papa ha manifestato anche un auspicio nei confronti delle Conferenze episcopali alle quali viene richiesto di favorire la gratuità delle procedure. La sentenza che per la prima volta ha stabilito la nullità, trascorsi i tempi per il ricorso diventa esecutiva, senza più dunque la necessità di due sentenze conformi anche in assenza di ricorso di una delle parti. Sarà comunque sempre possibile, oltre all’appello, ricorrere per un terzo grado di giudizio, «adducendo nuove e gravi prove o argomenti entro il termine perentorio di trenta giorni».

Tra le circostanze che possono consentire il processo breve «si annoverano, per esempio: quella mancanza di fede che può generare la simulazione nel consenso o l’errore che determina la volontà, la brevità della convivenza coniugale, l’aborto procurato per impedire la procreazione, l’ostinata permanenza in una relazione extraconiugale al tempo delle nozze o in un tempo immediatamente successivo, l’occultamento doloso della sterilità o di una grave malattia contagiosa o di figli nati da una precedente relazione o carcerazione, la causa del matrimonio del tutto estranea alla vita coniugale o consistente nella gravidanza imprevista della donna, la violenza fisica inferta per estorcere il consenso, la mancanza di uso di ragione comprovata da documenti medici».

 

8 settembre 2015