“Nostalgia”: il rigore di Favino

Il regista Mario Martone si confronta con l’intenso romanzo di Ermanno Rea, dedicato all’incontro/scontro con la sua Napoli. E la pellicola corre sul binario di una cronaca fredda e spietata

Dopo un’assenza di quarant’anni, Felice torna nel luogo in cui è nato, Napoli, e in particolare nel rione Sanità, una zona che lo riporta nel ventre della città. Riscopre così il quartiere, i luoghi, i personaggi, le amicizie di un tempo. Il confronto col passato riemerge e chiede il conto. Nato a Napoli e morto a Roma nel 2016, Ermanno Rea è stato scrittore e giornalista dallo sguardo lucido e attento a fotografare la realtà che lo circondava e che in ultima analisi ha trovato palpiti ed emozioni nell’incontro/scontro con la sua Napoli: città scrigno, luogo di tesori, sorprese, scoperte, ma anche di improvvisi ricordi, reminiscenze, tuffi nella nostalgia che non lascia scampo. Ecco allora Felice Lasco, che torna dopo decenni nella città partenopea, cammina un po’ incredulo un po’ sorpreso per le tortuose strade del Rione Sanità. L’uomo vive in uno stato di incertezza, ritrova persone con cui aveva perso i contatti, fa amicizia con il parroco del quartiere, gira intorno ai propri ricordi ma alla fine la sua mente resta legata a Oreste Spasiano, grande amico dei 17 anni e ora boss riconosciuto del quartiere. Felice vuole incontrarlo e ci prova senza capire che ogni avvertimento è inutile.

La grande forza di Nostalgia (romanzo) è nel ricordare che l’infanzia è una fregatura; il peso immane di Nostalgia (film) è che la bellezza a tirare troppo la corda si confonde con le brutture e la miscela che ne deriva lascia senza fiato. Adesso siamo di fronte al film, in concorso per l’Italia al recente Festival di Cannes e in sala dal 26 maggio. Il regista Mario Martone è uomo di spettacolo globale, nato a Napoli nel 1959, abituato a muoversi fin dagli esordi tra cinema e teatro (primo film Morte di un matematico napoletano, 1992; poi L’amore molesto, 1995). Seguono Noi credevamo, 2010, sul Risorgimento italiano; Il giovane favoloso, sofferta biografia di Leopardi, 2014; Qui rido io, rievocazione intensa e dinamica dell’epopea di Edoardo Scarpetta (2021).

Ora ecco Martone confrontarsi con l’intenso romanzo di Rea. E anche stavolta Martone corre sul binario di una cronaca fredda e spietata. Vorremmo che tutto fosse attraente ma la realtà si incarica di rovesciare le carte in tavola. Napoli resta bellissima ma il “vero” finisce per indirizzare il film verso un destino cinico e baro. Inutile resta la presenza di ruoli pure importanti quali il sacerdote e i bambini che vivacizzano la sua parrocchia. A un certo punto tornare indietro è del tutto impossibile. Solo all’inizio, Felice Lasco resta abbandonato fino alla fine, esempio di una nostalgia che adesso ci appare meglio come prigione e spazio chiuso. Pierfrancesco Favino offre al protagonista una maschera di assoluto rigore. A Cannes l’attore non ha vinto alcun premio. Ma il valore della sua interpretazione resta indiscutibile. Come quello del film, affidato da Martone a una regia salda e compatta.

14 giugno 2022