«Non ci stanno menando tutti». La crociata contro gli insegnanti

La classe docente “viralizzata” mediaticamente come imbelle di fronte alle nuove complessità generazionali. Ma cosa si ottiene delegittimando un presidio di libertà per un Paese democratico?

«Professoressa chiama i carabinieri: la classe non permette di fare lezione». «Minacciano con l’accendino il prof: ti bruciamo!». «Docenti chiedono telecamere per difendersi dagli studenti». Etc. Etc. A leggere quotidiani, cartacei e in rete, blog sulla scuola, pagine social, profili personali, ovunque, sembra proprio che si stia verificando la più grande “menata” di massa di insegnanti che la storia delle scuole patrie ricordi. Tutta l’Italia ne ha parlato e continua a farlo. Pure ieri, mentre ero a fare la convergenza, il gommista che mi serviva, tra un suo «è colpa delle buche» e un mio «se non le rattoppano, è un disastro», ha infilato un definitivo «a professò, ma che ve combinano sti’ ragazzi. Ah ma se c’ero io, certi sganassoni, certi manrovesci!».

A considerare poi l’ulteriore appendice sulla scuola classista (di tutto, la cosa più geniale letta, per quanto mi riguarda, resta il post di una collega: «Le facce pasoliniane degli studenti dell’Ipsia che salgono sulla corriera… ed è subito Serra»), interventi più o meno istituzionali, fino alle chiacchiere sui corridoi, l’accumulo dei commenti è stato mastodontico e come capita in questi casi, alla sola idea di provare ad aggiungere qualche elemento di riflessione, si ha la sensazione di sommare rumore molesto a rumore molesto. Eppure, alcune osservazioni credo vadano fatte.

Se il dato significativo, come già detto la volta scorsa, è stato l’esondare senza precedenti di un racconto apocalittico del mondo della scuola, andrebbe per lo meno accesa una luce su quelli che sono gli effetti di questa narrazione, che a quanto pare non ha lasciato incolume nemmeno il mio gommista. La classe docente, in toto, è stata viralizzata mediaticamente come incapace, non formata, imbelle difronte alle nuove complessità generazionali, fino alla produzione di un semplice ma tremendo non detto che ha a che fare con l’inutilità di una categoria che porta in sé l’aggravante di essere statale e quindi a carico dei cittadini.

Ora, sebbene per natura mi sforzi sempre di sgomberare la mente da sospetti malevoli su tutto e tutti, non posso non percepire in questo caso un che di fazioso in questa crociata contro gli insegnanti e la scuola in generale. A che serve, ma soprattutto a chi serve raccontare la scuola in questi termini? Cosa si ottiene delegittimando quello che resta un presidio seminale di libertà per un Paese democratico, ovvero il luogo dove si cura e si cresce la coscienza critica del futuro? Cosa implica insinuare il fallimento di una classe docente formata dallo Stato e dalle sue strutture? Il dimostrare forse che altre agenzie, ma soprattutto altre logiche formative siano necessarie, quelle determinate dalle esigenze e dagli imperativi del mercato? Poco serve ribadire che quell’emergenza tanto urlata se c’è, c’è nella misura in cui esiste una scuola assolutamente maggioritaria che sa gestire la crescita delle persona, anche nei momenti più complessi, anche in quelli più critici.

Dispiace invece, questo sì, notare come i primi a cadere in questa trappola dell’allarme all’insegna dell’«abbandoniamo la nave», siano stati soprattutto certi insegnanti (ma più in rete che nei corridoi) che hanno iniziato a sentirsi vittime predestinate di un’orda studentesca selvaggia, sbucata dalle paludi infette del presunto fallimento delle famiglie d’oggi, calata a vituperare i verdi prati di quello che un tempo era stato un Eden. Ecco, in tutto questo credo che si annidino rischi importanti, che dovrebbero essere ponderati non solo da chi a scuola ci lavora o ci manda i proprio figli ma dalla società intera.

9 maggio 2018