Nigeria, l’emergenza non è finita

L’allarme di Medici senza frontiere: «Nello Stato di Borno il sistema sanitario è al collasso, le esigenze mediche enormi e drammatiche»

L’allarme di Medici senza frontiere: «Nello Stato di Borno il sistema sanitario è al collasso, le esigenze mediche enormi e drammatiche». Molte le zone ancora inaccessibili

Nel nord est della Nigeria, lo Stato di Borno è oggi lo scenario principale del conflitto tra il gruppo islamista Boko Haram e l’esercito, che coinvolge i quattro Paesi affacciati sul lago Ciad e che ha provocato finora lo sfollamento di più di 2,6 milioni di persone. Ma le persone continuano a fuggire dalla violenza e mancano cibo, acqua e cure mediche. È la denuncia che arriva da Medici senza frontiere: «L’emergenza nello Stato di Borno non è finita. Il sistema sanitario è al collasso e ancora molte zone restano inaccessibili agli aiuti per motivi di sicurezza». Proprio per questo l’organizzazione chiede a tutti gli attori coinvolti nella risposta all’emergenza di «non abbassare la guardia e di aumentare l’assistenza alla popolazione».

Jean François Saint-Sauveur, direttore medico di Msf, appena rientrato dalla Nigeria, riferisce che «nello Stato di Borno le esigenze mediche sono enormi e drammatiche. Ondate di persone continuano ad arrivare, in pessime condizioni. Stiamo parlando di una popolazione che è stata oggetto di violenze, che ha vissuto nella boscaglia, nessuno sa in quali condizioni. Ci sono persone che non sanno nemmeno spiegare cosa gli sia successo, la vita stessa è dolore. In alcuni luoghi, siamo gli unici attori ad assisterli». Malnutrizione, malaria, infezioni respiratorie: queste le principali patologie riscontrate, «tutte strettamente legate alle pessime condizioni di vita», prosegue Saint-Sauveur. Msf chiede alle autorità nigeriane, alle agenzie internazionali e alle organizzazioni umanitarie «di continuare ad assicurare le distribuzioni di cibo in tutto lo Stato; di fornire assistenza sanitaria gratuita e di non ricollocare gli sfollati in aree dove non vi sono sicurezza e aiuti sufficienti, consentendo alla popolazione di decidere dove stabilirsi e quando eventualmente tornare nei luoghi di origine».

27 febbraio 2017