Nicolas Baijot, un belga alla Clericus Cup

Sacerdote da 1 anno, dopo 5 nell’esercito, studia Patristica all’Augustinianum e gioca con il Collegio Franco Belga. Lo sport? «Incontro su un campo di pace»

La Clericus Cup è davvero un campionato mondiale. Questa volta il pallone ha afferrato Nicolas Baijot, di Namur, in Belgio. Ha 31 anni ed è stato ordinato sacerdote lo scorso anno nella sua città. È a Roma per studiare Patristica all’Istituto Augustinianum. «Il mio vescovo, due settimane prima dell’ordinazione, mi ha comunicato che mi mandava a Roma perché conoscevo un po’ d’italiano e manca un esperto dei Padri della Chiesa nella diocesi. Sto terminando il primo anno».

Come è entrato nella squadra del Collegio Franco Belga che gioca la Clericus Cup?
«Il rettore mi ha chiesto se volevo far parte della squadra di calcio, visto che a scuola ne avevo fatto parte. C’era bisogno di un giocatore e così sono diventato il portiere. Conoscevo il torneo perché un sacerdote belga che vi ha partecipato ne ha organizzato uno simile in Belgio.

Cosa faceva prima di entrare in seminario?
Ho fatto parte per cinque anni e mezzo dell’esercito belga, del reparto specializzato nella bonifica da armi biologiche e chimiche. Sono stato in Afghanistan nel 2010. Poi in Canada, Polonia, Germania, Francia e altri luoghi in Europa sia per le esercitazioni che per le bonifiche dagli ordigni inesplosi nei passati conflitti.

Perché è entrato nell’esercito?
A 18 anni, dopo il diploma in agronomia cercavo un lavoro. L’ho trovato nell’esercito. Mi piaceva la fraternità tra noi, il servizio per la nazione e per i popoli. I soldati servono per costruire la pace, non la guerra.

Cosa l’ha colpita?
Vedere situazioni reali di guerra. In Afghanistan non si svolgevano esercitazioni: era in gioco la nostra vita e quella di tante altre persone.

Quando è scattata la vocazione?
Durante un ritiro con gli amici, in Belgio. Mai fatto prima e mi sono detto: “Perché no?”. Ho pregato dieci giorni con i monaci Benedettini a Chevetogne. Al ritorno ho parlato con il mio parroco e gli ho detto che sentivo di voler vivere servendo la Chiesa. Mi disse di riflettere bene prima di fare la mia scelta. Ho riflettuto con lui per sei mesi. Poi sono entrato in seminario.

Come ha reagito la sua famiglia?
Le tre sorelle hanno avuto reazioni diverse. Una mi ha chiesto: “Perché?”. Una era contenta, l’altra ha pianto, come mia madre. Mio padre disse che era un onore ma la strada era difficile. I miei amici militari ne hanno preso atto: se stavo bene erano contenti per me. Siamo ancora in contatto.

Cosa le sta insegnando questa esperienza calcistica?
È un’esperienza di fraternità, un buon lavoro su se stessi. Inoltre mette alla prova la nostra umanità, la rabbia: dobbiamo pensare che è un gioco, uno sport. Ed è un modo per evangelizzare, un’opportunità per incontrare persone fuori dal collegio. Come sacerdote, maturo l’esperienza di realizzare un progetto comune. Praticare sport aiuta a relazionarsi con i giovani, ad avere un buon contatto con la gente.

Oltre al calcio pratica altri sport?
Mi piace la marcia. Poi in montagna con i giovani me la cavo. Spero che il calcio sia un motivo di dialogo in più. Potrei tornare nell’esercito come cappellano militare. Lo sport può essere un motivo per unirsi e incontrarsi su un campo di pace.

Gli incontri della Clericus Cup riprendono sabato 4 maggio alle 9 al Centro Sportivo Pio XI.

2 maggio 2019