«Nessuno tra loro era bisognoso»

Nell’anno della vita consacrata importante riprendere le pagine degli Atti degli Apostoli, unica risposta efficace per aprire strade creative

Nell’anno della vita consacrata importante riprendere le straordinarie pagine degli Atti degli Apostoli, unica risposta possibile ed efficace per aprire strade creative

I cosiddetti sommari, riassunti o quadri sintetici offerti dagli Atti degli Apostoli descrivono in tre ondate successive la vita dei primi discepoli di Gesù a Gerusalemme secondo la prospettiva di Luca. Si discute fra gli esegeti se si tratti di una fotografia storica, più o meno credibile, oppure di una descrizione ideale. Sembra in realtà che si debba concludere per questa seconda ipotesi. Sta di fatto però che le prime comunità di monaci dell’antichità cristiana ricevettero queste pagine dell’evangelista Luca come preciso modello di riferimento al quale conformare la propria vita. E questo non soltanto nel tentativo di concretizzare queste sintesi nelle indicazioni esterne, e per così dire istituzionali delle comunità, ma anche nel riconoscerle come indicatori preziosi di valori interiori, relativi a lo modo di essere, sia della comunità in quanto tale, sia dei singoli membri di essa.

La scelta dei monaci antichi fu poi ripetuta di fatto da praticamente tutti i fondatori e le fondatrici delle molteplici forme di Vita Consacrata nate e sviluppatesi nella Chiesa cattolica. Questo è il motivo per cui, nel nostro comune ritorno alle origini, voluto dal Concilio Vaticano II e adesso da Papa Francesco che ha istituito questo anno particolare dedicato alla Vita Consacrata, ritengo sia indispensabile riprendere in mano proprio queste straordinarie pagine degli Atti degli Apostoli, convinto come sono che sia l’unica risposta possibile ed efficace per aprire strade creative nuove alla nostra Vita Consacrata.

Provo ad elencare semplicemente l’uno dopo l’altro, rispettando lo stesso ordine dato dall’evangelista, gli elementi fondamentali proposti da Luca nella sua prima sintesi descrittiva della comunità apostolica di Gerusalemme. Essi sono: 1. La perseveranza nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli. 2. La preoccupazione di cercare l’unione fraterna. 3. La frazione del pane. 4. La condivisione delle preghiere.

Su questi quattro pilastri si reggevano gli altri aspetti della vita della comunità che consistevano: 1. Nel timore di Dio condiviso da tutti. 2. Nell’attenzione ai segni e opere compiuti dagli apostoli divenuti, ovviamente modelli di vita per tutti. 3. Nel fortificarsi nella fede su di Lui, cioè nella fedeltà a Gesù (c’è un’espressione in lingua greca – epì to autò che è difficile tradurre). 4. Nel condividere tutto, così da spartire i propri beni, doti e carismi personali, con tutti “secondo il bisogno di ciascuno”. 5. Nel frequentare insieme ogni giorno il Tempio (probabilmente per seguire le preghiere prescritte dalla Legge del Signore). 6. Nello spezzare il pane in casa propria (eucarestia domestica?) “condividendo i pasti con letizia e semplicità di cuore” (ancora adesso si stabilisce un rapporto strettissimo, in quasi tutte le comunità religiose. tra Messa e Mensa). 7. Nel lodare Dio.

Vivendo “more apostolico (cioè prendendo a modello gli apostoli in una esperienza comunitaria come quella appena descritta), l’Autore degli Atti constata che: da una parte esplodeva la simpatia di tutti nei confronti della comunità; e dall’altra “il Signore aggiungeva ogni giorno intorno a Lui (c’è di nuovo l‘espressione in lingua greca – epì to autò) coloro che venivano salvati. Sì, proprio così, come quando dei naufraghi trovano la loro salvezza salendo in una barca che si presenta gratuitamente all’improvviso davanti a loro. Si tratta forse anche dell’esperienza della cosiddetta «vocazione alla vita religiosa» che si pone di fronte al battezzato come una vera e propria zattera di salvezza per la sua fede e per la sua piena umanità? I nostri fondatori e le nostre fondatrici non potevano trovare nulla di più appropriato di testi come questi per educare alla fede i loro fratelli e le loro sorelle. E di fatto ciascuno di questi punti, declinato nei modi più diversi, ha dato origine a tutte le indicazioni di vita cosiddetta spirituale che ha nutrito e nutre da sempre le comunità religiose della Chiesa Cattolica.

Nella seconda descrizione prodotta dall’Autore degli Atti si evidenzia anzitutto che “la moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32a) ricordando l’unità che avevano sperimentato i Dodici con Gesù così come si leggeva in Marco che aveva scritto: “chiamò a sé quelli che volle, ed essi andarono da Lui, e ne costituì dodici che stessero con Lui” (Mc 3, 13-14). Immediatamente dopo, aggiunge però che questa particolare unità comportava delle scelte personali molto concrete. Infatti “nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune” (At 4,32b). Nella prima descrizione si poteva leggere tra le righe qualcosa che si riferiva al primo posto da dare a Gesù e alla massima intimità possibile con Lui, tale che si potesse intendere che si trattava di “non anteporre nulla, assolutamente nulla, all’amore di Cristo”(Regola di san Benedetto). Con questa ulteriore precisazione si esplicita che scegliere Gesù, e unicamente Lui, nella propria vita, comporta una espropriazione molto concreta, riassumibile nella messa in pratica di ciò che Gesù stesso aveva richiesto, nel Vangelo di Luca, al giovane ricco che chiedeva come comportarsi “per ereditare la vita eterna”(Lc 18,18) con quell’invito sconvolgente sintetizzato nelle famose parole: “Vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri…poi vieni e segui me” (Lc 18, 22).

Un invito, sembra dirci Luca in questa pagina degli Atti degli Apostoli, che avrebbe potuto essere la strada, l’unica strada, per essere sulla terra una comunità di eguali modellata su quella stessa comunione tra Eguali che si lasciava intravedere nella comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, fondata sulla disponibilità totale di sé all’altro, che già san Paolo aveva chiamato «svuotamento» (kenosis in greco). Una disponibilità che permetteva di dire, a proposito di questa prima comunità di credenti a Gerusalemme, che “Nessuno tra loro era bisognoso” (At 4,34), perché ciò che era proprietà di qualcuno veniva “deposto ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno” (At 4, 35). Si otteneva così il superamento del bisogno grazie alla condivisone totale di tutto, ma all’interno di un’obbedienza al giudizio discrezionale di coloro che presiedevano alla comunità, così che l’obbedienza dovuta a gli apostoli garantiva l’uguaglianza di tutti nel rispetto delle necessità di ciascuno.

Conseguenza di tutto questo era l’irradiamento in città di una società nuova proposta quasi naturalmente a partire dalla realtà nuova che si stava affermando attraverso di essi nel mondo, grazie all’accoglienza della “testimonianza della risurrezione del Signore Gesù data con forza dagli apostoli” (At 4, 33a). Il narratore aggiunge, stupito, che “tutti essi godevano di grande simpatia” (At 33b) da parte della gente.

Questa simpatia cresceva poi a sua volta in modo del tutto naturale dalla constatazione del verificarsi di “segni e opere” fuori del comune (Cfr At 5, 12) e tali da suscitare entusiasmo, così che “andava aumentando il numero degli uomini e delle donne che credevano nel Signore” (At 5,14). Nessun proselitismo dunque, ma solo una credibile testimonianza di vita! (padre Innocenzo Gargano)

 

2 marzo 2015