Nessuno è profugo per caso
In vista della visita del Papa a Marsiglia per la conclusione dei “Rencontres Méditerranéennes”, una riflessione sul tema delle migrazioni. E la proposta di un gruppo di studio della Sapienza: qualificare il traffico di migranti come crimine internazionale
Papa Francesco sarà a Marsiglia il 22 e 23 settembre per la conclusione dei “Rencontres Méditerranéennes”. Pertanto, come redazione di Romasette abbiamo avvertito l’esigenza di condividere una riflessione con i nostri lettori partendo dal presupposto che nessuno è profugo per caso. Chiunque abbia vissuto nelle periferie del nostro povero mondo – pensiamo, ad esempio, ai nostri missionari e volontari – è consapevole della complessità del fenomeno migratorio. A parte i tradizionali scenari di guerra, non basta mai una sola ragione a determinare e spiegare l’abbandono del proprio Paese. Infatti le migrazioni sono sempre originate da una serie di fattori che interagiscono tra loro: persecuzioni politiche, religiose, carestie, esclusione sociale, violazioni dei diritti umani… Tutte cause che generano uno stato di diffusa insicurezza e precarietà, con particolare riferimento al vicino Oriente e all’Africa subsahariana, da cui proviene il grosso della mobilità umana verso l’Europa.
A questo proposito, è utile segnalare, in ambito accademico, il contributo offerto da un gruppo di studio, presso la facoltà di Giurisprudenza della Sapienza di Roma – coordinato da Enzo Cannizzaro e da Umberto Triulzi – che ha promosso una riflessione per qualificare il traffico di migranti come crimine internazionale. L’intento è restituire, dal punto di vista giuridico, il ruolo di vittime a chi si trova costretto a rischiare la vita per sfuggire a povertà o guerra. Prendendo atto della gravità delle condotte di quanti sfruttano tale disperazione, è necessario definire un’efficace risposta sanzionatoria nei confronti dei trafficanti dando, come scrivono gli studiosi, «un adeguato rilievo alle modalità con cui questi trasferimenti avvengono, inserendo, quale elemento indefettibile della previsione, il richiamo all’esposizione a rischio della vita del migrante, così da giustificarne l’inclusione nel catalogo dei crimini contro l’umanità e, conseguentemente, con riguardo alla possibile attivazione delle norme in materia di giurisdizione universale, consentire una risposta sanzionatoria più efficace».
La qualificazione del traffico di migranti come crimine internazionale produrrebbe una serie di conseguenze giuridiche. Sul piano della repressione penale, gli individui coinvolti nella tratta, a diverso titolo, potrebbero rispondere delle loro azioni davanti ai tribunali di qualsiasi Stato, ovvero, a certe condizioni, davanti alla Corte penale internazionale. Sul piano dell’azione della comunità internazionale, tale qualificazione conferirebbe un titolo giuridico a qualsiasi Stato, anche non direttamente interessato dal fenomeno, di chiedere, o forse anche di pretendere, la cooperazione di ogni altro Stato o organizzazione internazionale. Sul piano istituzionale, essa legittimerebbe un coinvolgimento delle istituzioni internazionali, sia sotto il profilo regionale che globale, prima fra tutte le Nazioni Unite. Il lavoro di questo gruppo di studiosi potrebbe imprimere un significativo salto di qualità nella riflessione anche sul piano politico ed etico. Com’è noto, infatti, i governi del Vecchio Continente, in linea di principio, sono disposti ad accettare i “rifugiati” ma molto prevenuti nell’accogliere i “migranti economici”.
Il paradosso è evidente. Se il migrante fugge dalla guerra o è perseguitato da un regime totalitario può essere accolto (qualificandosi appunto come profugo, vittima di migrazione forzata), se invece corre via da inedia e pandemie, in quanto nel suo Paese non esistono le condizioni di sussistenza, non può partire e deve accettare il suo infausto destino. La proposta formulata da questo team di studiosi, finalmente, supera la dialettica tra “rifugiati” e “migranti economici”, spostando l’attenzione e il dibattito politico e sociale sul vero problema: la relazione iniqua e peccaminosa tra i trafficanti (i veri criminali) e le loro vittime sacrificali (i migranti). Per dirla con le parole del Papa, «dentro di noi e insieme agli altri, non stanchiamoci mai di lottare per la verità e la giustizia».
Una cosa è certa: forse mai come oggi le Chiese hanno il compito d’essere profetiche nel contrastare l’ignobile tratta dei migranti, restituendo a questa umanità dolente la propria dignità. Non v’è dubbio che serva un sistema di accoglienza dei richiedenti e dei rifugiati adeguato alle emergenze con percorsi efficaci di inclusione. Sarebbe auspicabile pertanto favorire l’immigrazione legale per contrastare quella illegale, attraverso, ad esempio, i corridoi umanitari. Anche perché il malessere delle periferie del mondo ci riguarda, se vogliamo fare nostro il messaggio universale di salvezza: quello del Vangelo.
13 settembre 2023