Infografica: Associazione 21 luglio

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Una storia antica ancora attuale. La presenza di baracche a Roma ha una storia antica, spesso immortalata dal cinema neorealista e dai racconti di grandi intellettuali. Le prime baraccopoli sorsero nel secondo dopoguerra, soprattutto nel settore est, tra la via Nomentana e la via Appia, ed erano abitate da ciociari, abruzzesi, pugliesi, calabresi, siciliani: 13.684 famiglie negli anni ’60. Così i romani le descrivevano: “Sono un covo di ladri e delinquenti”; “Sono gente piena di soldi, che vive nelle baracche perché gli fa comodo, gente che ha fatto i soldi con la truffa”; “Sfaticati, non hanno voglia di lavorare, di fare niente”. Le baraccopoli scomparvero ufficialmente agli inizi degli anni Ottanta grazie a proteste civili e impegni delle amministrazioni di allora, che assegnarono agli abitanti le case popolari. Poi in quegli stessi luoghi cominciarono ad affluire famiglie rom dalla Slovenia, dalla Serbia, dal Montenegro, dalla Bosnia-Erzegovina, in fuga dal disfacimento della ex Jugoslavia: in zona Gordiani, in via Casilina 900, vicino all’acquedotto Felice. Il primo “campo nomade” istituzionalizzato nacque nel 1994 e non per volontà dei rom e sinti ma perché ritenuti culturalmente (ed erroneamente) “nomadi”. A distanza di tanti anni i numeri sono ancora alti, gli abitanti sono cambiati (prima i meridionali, ora i rom e gli immigrati) e i pregiudizi sono sempre gli stessi. Basta ascoltare le interviste in tv o leggere i commenti razzisti sui social: “Stanno nelle baracche perché ci vogliono stare e gli conviene. Hanno macchine di grossa cilindrata e telefonini” (Roma, 2015).

Dove sono? Oggi a Roma 5mila persone vivono nei campi destinati a quei soggetti considerati erroneamente “nomadi”. Sono dislocati in 7 insediamenti formali (fine 2014) denominati dal Comune di Roma “villaggi della solidarietà”: Lombroso, Candoni, Gordiani, Camping River, Castel Romano, Salone, La Barbuta e in 4 “campi non attrezzati”: Salviati 1, Salviati 2, Monachina e Foro Italico. In più vi sono i 200 insediamenti informali (tra i quali Spellanzon, Arco di Travertino, Sette Chiese e Ortolani) dove vivono 2.500 rom in prevalenza di cittadinanza romena e le 100 famiglie (circa 400 persone) che abitano in due strutture gestite in convenzione con il Comune di Roma. Totale: circa 8mila.

Florin, per 12 anni in una baraccopoli. La famiglia di Florin, originaria della Romania, è venuta in Italia per problemi economici. Aveva sempre vissuto in una casa. Qui gli affitti erano alti e sono stati costretti a vivere in  una baracca, per 12 anni. «Stare in una baraccopoli è veramente difficile – racconta Florin Fota, 20 anni -. Vuol dire avere una visuale ristretta, e non solo di muri e recinzioni». Per Florin, come per tanti ragazzi che vivono nei campi, l’ostacolo più difficile da superare (oltre ai pregiudizi) è trovare lavoro. «Quando vedono che sulla carta d’identità c’è scritto “campo nomadi” nessuno ti vuole», spiega. Oggi, dopo anni, hanno avuto finalmente accesso a un alloggio popolare: «I miei genitori non ci credevano – dice -. Abitare in una vera casa è bellissimo. Posso cercare lavoro senza paura nel cuore, perché nei documenti c’è scritto un indirizzo reale e posso pagare le tasse. Non tutti capiscono che per noi rom pagare le tasse, oltre che un dovere, è un diritto. Vuol dire essere riconosciuti parte di questa società». (Patrizia Caiffa)

1° aprile 2016