Nel 2013 erano circa 385 milioni nel mondo i bambini in condizioni di povertà estrema. a riverlaro è il nuovo rapporto di Unicef e Banca Mondiale “Ending extreme poverty: a focus on children”. Il 19,5% dei piccoli nei Paesi in via di sviluppo, si legge in una nota, «viveva in famiglie che sopravvivevano con 1,90 dollari o meno in media a persona al giorno, rispetto al 9,2% degli adulti». E i bambini «non solo hanno più probabilità di vivere in condizioni di povertà estrema – osserva il direttore generale dell’Unicef Anthony Lake – ma gli effetti della povertà su di essa sono più dannosi». Lake definisce «scioccante» il fatto che metà di tutti i bambini dell’Africa Sub Sahariana e 1 bambino su 5 nei Paesi in via di sviluppo crescano in condizioni di povertà estrema. «Non è solo un limite per il loro futuro ma anche per le loro società».

In particolare, all’Africa sub sahariana va il doppio primato dei più alti tassi di bambini che vivono in povertà estrema – dato appena soto il 50% – e della più alta percentuale al mondo di bambini in povertà estrema: poco più del 50%. Al secondo posto, si legge nel rapporto, l’Asia Meridionale, che si attesta al 36%, con oltre il 30% dei bambini poveri concentrato solo in India e oltre 4 bambini su 5 in povertà estrema nelle aree rurali. Per Ana Revenga, senior director del gruppo Poverty and Equity della Banca Mondiale, «il numero totale di bambini in povertà estrema indica la reale necessità di effettuare degli investimenti specifici durante i loro primi anni di vita, ad esempio in servizi come assistenza prenatale per le donne in gravidanza, programmi per lo sviluppo della prima infanzia, scuole di qualità, acqua pulita, servizi igienico sanitari e cure mediche universali». Migliorare questi servizi, conclude, e «assicurare che i bambini di oggi possano avere un accesso a opportunità lavorative di qualità è l’unica strada per rompere il ciclo di povertà intergenerazionale che oggi è così diffuso».

5 ottobre 2016