Nel Mediterraneo si muore ancora

13 i corpi recuperati e oltre 20 i dispersi nel naufragio al largo di Lampedusa, la notte tra il 6 e il 7 ottobre. Le associazioni: salvare vite «torni a essere priorità»

A pochi giorni dalla Giornata della memoria e dell’accoglienza, istituita per commemorare tutte le persone che hanno perso la vita in mare dal 2013 ad oggi, celebrata il 3 ottobre, davanti alle coste italiane ancora si muore. Nella notte tra il 6 e il 7 ottobre un barchino con a bordo 50 persone si è ribaltato a poche miglia da Lampedusa, mentre erano in corso le operazioni di salvataggio da parte della Guardia Costiera. 13 i corpi recuperati; oltre 20 i dispersi, tra cui 8 bambini. Queste le informazioni diffusa dalla Capitaneria di Porto, che parla di 22 migranti tratti in salvo dal barchino «sovraccarico e già sbandato» al momento dell’avvistamento, a 6 miglia dall’isola; di «condizioni meteomarine avverse» e di «spostamento repentino dei migranti», fino al «ribaltamento dell’unità». 18, alla fine, i migranti tratti in salvo dall’unità della Guardia Costiera; 4 quelli salvati dalla motovedetta della Guardia di Finanza. Intanto, nelle stesse ore la ong spagnola Proactiva Open Arms avvistava un altro barchino con 44 persone a bordo – compresi un bambino e un neonato -, nella zona Sar maltese. Tratti in salvo sulla nave della ong, restano «in attesa di sapere cosa decideranno di fare le autorità maltesi con i 40 soccorsi nella loro area di competenza», spiega il fondatore di Open Arms Oscar Camps.

Le nuove vittime di Lampedusa «siano monito all’Europa», impegnata da ieri con il vertice dei ministri europei chiamati a decidere se ratificare o meno la bozza di accordo siglata il 23 ottobre a Malta. È l’auspicio di Save the Children, espresso dalla direttrice dei Programmi Italia – Europa Raffaela Milano. Quella all’esame del Consiglio europeo per la Giustizia e gli Affari interni, osserva, è la prima proposta di azione condivisa emersa dal recente summit di Malta. «Potrebbe essere un’occasione unica di svolta nella giusta direzione ma solo se ogni decisione verrà presa garantendo il pieno rispetto del diritto internazionale», prosegue Milano. In concreto, significa anzitutto che «la Libia non può essere considerata in alcun modo un porto sicuro. Lo dimostrano i quasi 7mila rifugiati e migranti intercettati in mare dalla Guardia Costiera libica e riportati nel Paese, «dove subiscono gravissime violazioni dei diritti umani».

Ancora, per Milano gli stati membri Ue «devono essere anche in grado di assumersi la responsabilità condivisa di garantire vie di accesso sicure dalle aree di crisi o di transito, per evitare che migliaia di donne, bambini e uomini in fuga da condizioni di conflitto, fame o grave povertà continuino ad essere costrette a ricorrere ai trafficanti, subendo ogni tipo di violenza e mettendo a rischio la propria vita, come accaduto ancora una volta questa notte sotto i nostri occhi a Lampedusa». A fronte di un’Europa che dal 2014 discute per cercare un’azione congiunta per il salvataggio e l’accoglienza di chi cerca di attraversare il Mediterraneo, nel frattempo nel tentativo hanno perso la vita 18.800 persone; più di 15mila solo nel Mediterraneo centrale. «E si è rinunciato progressivamente alle operazioni di ricerca e soccorso privilegiando la protezione dei confini e arrivando a scoraggiare l’impegno di tanti per il salvataggio in mare», le parole di Milano.

«Salvare vite umane torni a essere priorità», è l’appello lanciato anche dal Centro Astalli, che parla di «urgenza umanitaria che si consuma ogni giorno nel Mediterraneo, di fatto derubricata a effetto collaterale di politiche di contenimento dei flussi». Al contrario, l’organizzazione dei Gesuiti reclama «azioni che tutelino ogni donna, uomo, bambino migrante», assicurando il diritto d’asilo. Significa, spiegano, «permettere a migranti forzati di arrivare in Europa senza rischiare la morte affidandosi a trafficanti e criminali attraverso vie legali di accesso; garantire operazioni di soccorso in mare per coloro che rischiano la vita in un naufragio». Ancora, significa «tornare ad applicare le convenzioni internazionali ratificate e nei rapporti di politica estera anteporre sempre il rispetto dei diritti umani a qualunque altra valutazione». Per il presidente del Centro Astalli padre Camillo Ripamonti, «il sangue di questi innocenti grida, non possiamo più rimanere indifferenti perché la nostra indifferenza ormai si è fatta complice. Auspico che il governo italiano e quello europeo mettano mano con urgenza al tema dei salvataggi in mare ridefinendo i termini di nuove missioni».

Anche il Comitato 3 Ottobre si chiede «quanto ancora dovremo contare i morti in mare» e soprattutto «perché l’Europa continua a voltare le spalle di fronte ai fatti». Anche da qui arriva l’indicazione di «aprire corridoi umanitari che permettano alle persone di raggiungere l’Europa in maniera più sicura. Affinché il Mediterraneo cessi di essere un teatro di morte – si legge in una nota -, occorre urgentemente che l’Europa metta in campo un’operazione di ricerca e soccorso in mare che permetta di salvare le imbarcazioni e le persone in difficoltà». Non solo: «Bisogna inoltre rafforzare e dare maggiore sostegno ai Paesi di transito, nel rispetto dei diritti umani fondamentali e delle convenzioni internazionali in materia. Oggi è ancora più urgente agire alla radice del problema, incidendo nei Paesi di origine con interventi concreti mirati a sradicare le disuguaglianze, le violazioni dei diritti umani e a combattere ogni forma di discriminazione».

8 ottobre 2019