Nave Aquarius, è ancora braccio di ferro Italia-Malta
A bordo 629 migranti provenienti dal Nord Africa, tra cui 123 minori non accompagnati. L’appello delle associazioni: salvare vite è priorità che non può essere oggetto di trattative politiche
È ancora scontro tra Italia e Malta per lo sbarco della Aquarius, la nave da ricerca e soccorso dell’ong Sos Méditerranée con a bordo 629 migranti provenienti dal Nord Africa, tra cui 123 minori non accompagnati, 11 bambini e 7 donne incinte. Il neo ministro degli Interni Matteo Salvini ha dichiarato la chiusura dei porti italiani e ha inviato una lettera urgente alle autorità maltesi chiedendo di far approdare alla Valleta la nave, essendo quello il «porto più sicuro» per lo sbarco. Malta ha invece risposto dichiarando di non avere competenza e la situazione è tutt’ora in stallo per la navigazione dell’Aquarius, a cui nella serata di ieri, domenica 10 giugno, è stato chiesto di fermarsi in mare aperto, a 35 miglia nautiche a sud dalla Sicilia e 27 a est di quelle di Malta. A bordo viveri per 48 ore.
Dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati è arrivato l’appello affinché «Stati e attori coinvolti trovino soluzioni rapide che consentano ai migranti e rifugiati dell’Aquarius di essere sbarcati in modo sicuro e rapido». Anche Medici senza frontiere affida a una nota il timore che «ancora una volta la politica degli Stati europei sia posta al di sopra delle vite delle persone». La priorità, rimarcano dall’associazione, «deve essere la sicurezza e il benessere delle persone a bordo».
«Seria preoccupazione» per le condizioni dei migranti che attendono di essere tratti in salvo in un porto sicuro anche da parte del Centro Astalli, che chiede una «rapida soluzione che permetta di prestare le cure necessarie ai migranti soccorsi». Per i responsabili della struttura dei Gesuiti, «mettere in salvo vite è atto di umanità che non può essere oggetto di trattative politiche o dispute tra governi». Ancora, evidenziano che «atti dimostrativi che hanno conseguenze serie sulle già precarie condizioni di donne, bambini e uomini non risolvono nulla in assenza di politiche di lungo termine che prevedano via legali d’ingresso. Al contrario vanno ad aumentare il rischio di morte in mare di innocenti in cerca di salvezza». Infine «a tutti gli attori coinvolti» la richiesta di «rispettare e applicare la normativa nazionale e le convenzioni internazionali in materia di soccorso in mare».
11 giugno 2018