Naufragio al largo della Libia, oltre 100 i morti

La denuncia dell’Unhcr. Tratte in salvo circa 140 persone. Grandi: «La peggiore tragedia mediterranea dell’anno». Negro (Fcei): «il prezzo della guerra alle ong e della latitanza europea». Centro Astalli: «Ripristinare operazioni di ricerca e soccorso»

È naufragato al largo delle coste libiche, nei pressi di Al Khoms, oltre 100 chilometri a est di Tripoli, un barcone carico di migranti. La denuncia è arrivata ieri, 25 luglio, dall’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati: i rapporti iniziali, secondo Unhcr Libya, indicano che «oltre 100 persone potrebbero aver perso la vita mentre altre 140 sono state salvate e sbarcate, ricevendo assistenza medica e umanitaria dal partner Imc dell’Unhcr». Stando alle testimonianze dei sopravvissuti, a bordo del barcone si trovavano circa 300 migranti, il che significa che i morti potrebbero essere anche 150.

Il numero di 150 è confermato dalle equipe di Medici senza frontiere, che hanno soccorso i sopravvissuti: i testimoni hanno contato 70 cadaveri in acqua, mentre altre cento persone risultano ancora disperse. E tra i sopravvissuti, riferiscono gli operatori Msf, molti sono in stato di shock con sintomi di preannegamento, ipossia e ipotermia. Per Charlie Yaxley, portavoce dell’Unhcr per Africa e Mediterraneo/Libia, «se i dati stimati sono corretti, questa è la più grande perdita di vite nel Mediterraneo centrale nel 2019. Un promemoria, se necessario, che deve esserci un cambiamento nell’approccio alla situazione mediterranea», prosegue, denunciando come ci sia «urgente necessità di salvare vite in mare».

Anche l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati Filippo Grandi parla della «peggiore tragedia mediterranea di quest’anno. Ripristinare il salvataggio in mare, porre fine alla detenzione di rifugiati e migranti in Libia, aumentare i percorsi sicuri fuori dalla Libia – asserisce – deve avvenire ora, prima che sia troppo tardi per molte delle persone più disperate».

«Ripristinare immediatamente le operazioni di ricerca e di soccorso in mare». Questa la richiesta alle istituzioni nazionali e sovranazionali che arriva dal Centro Astalli, insieme al «profondo cordoglio per le vittime» e alla «preoccupazione per la sorte dei migranti riportati in Libia, Paese in guerra e quindi porto non sicuro». Proprio per questo l’organizzazione dei Gesuiti chiede di attivare un piano di evacuazione dei migranti dalla Libia, «dove la loro vita è in pericolo a causa di violenze e soprusi che sono prassi quotidiana», e di «prevedere percorsi di ingresso legale in Europa per i migranti oggi costretti a dover ricorrere al traffico di essere umani in assenza di vie sicure e regolamentate». In particolare, si chiede di aprire «canali umanitari per chi scappa da guerre, persecuzioni ed estrema povertà e ha diritto a chiedere protezione e accoglienza in Europa».

Una proposta, quella dei corridoi umanitari, “rilanciata” anche da Luca Maria Negro, presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei) che porta avanti l’esperienza dei corridoi insieme a Sant’Egidio e Chiesa valdese. Proprio sulla scia di questa esperienza, «rilanciamo la proposta di un “corridoio umanitario europeo dalla Libia” – dichiara -: un progetto condiviso tra Stati volenterosi, finalizzato ad aprire vie legali e sicure per la protezione dei profughi e dei rifugiati, unica vera e credibile alternativa al traffico umano». I circa 150 morti di ieri al largo della Libia per Negro sono «il prezzo della guerra alle ong combattuta in questi mesi e della latitanza dei Paesi e delle istituzioni europee che si scaricano il barile della prima accoglienza ai migranti che sbarcano. Come cristiani e come evangelici – spiega – non possiamo tacere di fronte a quella che continua a essere una strage, prevista e denunciata: le ong, colpite da provvedimenti giudiziari e improvvisate norme giuridiche, hanno serie difficoltà operative; l’Europa non si impegna a varare alcun piano di ricerca e soccorso in mare». Intanto i migranti continuano a partire dalla Libia, «Paese sempre più insicuro e incapace di tutelare i diritti fondamentali dei profughi». In questo quadro, prosegue Negro, «sentiamo come nostra vocazione quella di vigilare e di denunciare quello accade; ma anche quella di richiamare il governo italiano e le autorità europee a compiere il loro dovere istituzionale, che comprende il soccorso e la protezione a profughi e richiedenti asilo. Il salvataggio delle vite umane non ha un colore politico ma – ammonisce – è un valore etico che non possiamo ignorare senza scoprirci immorali e disumani».

26 luglio 2019