Myanmar: un «dialogo significativo, per ripristinare la democrazia»

La riflessione di Signis, associazione cattolica mondiale per la comunicazione, in ascolto del «grido del popolo»: proteggere i giornalisti e rilasciare i leader

Porta la data di ieri, 16 marzo, la nota diffusa da Signis, associazione cattolica mondiale per la comunicazione, che si mette in ascolto del «grido del coraggioso popolo birmano nella resistenza non violenta al colpo di stato militare del Myanmar che ribalta un’elezione legittima e democratica». Accanto a Signis, realtà come Pax Christi international e i suoi partner nella regione Asia – Pacifico, «che, nella loro dichiarazione di febbraio sullo “Stato di emergenza” in Myanmar, hanno già espresso gravi preoccupazioni per la situazione nel Paese», e il movimento internazionale dei Focolari, che «si unisce a noi in solidarietà con il popolo birmano».

Ogni giorno, si legge nella nota, «persone coraggiose, tra cui molti giovani, tornano in piazza per protestare pacificamente, nonostante gli spari dei soldati. Come simbolo della loro protesta, segno della giusta rabbia del popolo verso i militari, sentiamo il fragore di pentole e padelle, secondo l’usanza birmana per proteggersi dagli spiriti maligni». E ancora: «Assistiamo alla detenzione arbitraria, con accuse fabbricate, di membri del governo democraticamente eletto, nonché di leader civili e religiosi che hanno preso parte alla lunga lotta per la democrazia».

Nell’analisi di Signis, la condanna della campagna di disinformazione portata avanti dai militari «per giustificare le loro azioni» e la richiesta di «protezione dei giornalisti arrestati e molestati per aver condiviso con il resto del mondo notizie e informazioni su ciò che sta accadendo sul campo; dovrebbero invece godere della libertà di stampa». Condannato anche «l’estremo autoritarismo che ha calpestato la costituzione della nazione, che di fatto – pur mantenendo gran parte del potere nelle forze armate – consentiva una limitata democrazia. Nonostante le sfide, il Myanmar stava muovendo i primi passi verso la democrazia, dando alla gente speranza per un nuovo futuro. Questa speranza – osservano – dovrebbe essere restituita».

L’invito che arriva da Signis è ad ascoltare «il messaggio del popolo del Myanmar: questo colpo di Stato riguarda essenzialmente il loro rovesciamento, della loro volontà. In ultima analisi, non si tratta di rimuovere gli oppositori politici o il presunto ordine pubblico. Esso annulla anni di paziente lavoro per i diritti fondamentali dei cittadini e schiaccia i tenui sogni di un Paese libero e democratico». Proprio per questo, come organizzazioni cattoliche, «ci uniamo a Papa Francesco e ai leader civili e religiosi di tutto il mondo che hanno condannato il colpo di Stato e chiedono un “dialogo significativo” per ripristinare la democrazia».

Ancora, si legge nel testo, «ci uniamo ad altre organizzazioni nel chiedere il rilascio di Aung San Suu Kyi e di altri funzionari e leader detenuti; ai militari uno stop alla violenza e alla detenzione arbitraria di manifestanti pacifici e giornalisti; giustizia e responsabilità per le atrocità commesse dall’esercito contro il popolo Rohingya e altre minoranze etniche, nonché la prevenzione di tali crimini e abusi in futuro; ai membri della comunità internazionale, in particolare nella regione Asia-Pacifico, di fare pressione sul regime affinché si dimetta e ristabilisca la democrazia, e di non sfruttare la situazione per i propri interessi geopolitici».

Ai membri di Signis, Pax Christi international e del movimento dei Focolari sparsi in tutto il mondo si chiede quindi di «dare voce al grido del popolo birmano contattando i media locali e nazionali per segnalare la situazione e sollecitando i governi a intraprendere forti azioni diplomatiche per opporsi al colpo di stato e riportare la democrazia in Myanmar. La nostra missione come organizzazioni – concludono – è promuovere la pace. Con l’arcivescovo di Yangoon, il cardinale Charles Maung Bo, presidente della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche, sosteniamo: “La pace è possibile. La pace è l’unica via. La democrazia è l’unica luce verso questo percorso”».

17 marzo 2021