Museo Etnologico Vaticano, luogo aperto a tutti i popoli

Negli spazi rinnovati all’interno dei Musei Vaticani un allestimento sull’Oceania realizzato con la collaborazione dei discendenti degli autori delle opere

Un luogo aperto a tutti i popoli, riaperto un anno fa con la mostra “Mater Amazonia. The deep breath of the world” che chiude proprio oggi, 26 ottobre, e che conserva al suo interno testimonianze di mondi lontani. È il Museo Etnologico Vaticano Anima Mundi, che nelle sue sale rinnovate ospita infatti un primo spazio dedicato all’Oceania. Solo una piccola parte della collezione da 80mila pezzi, conservati in moderni depositi climatizzati, e la prima scelta è caduta sul punto più distante dal Vaticano.

Il curatore del Museo, padre Nicola Mapelli, ci accompagna in un viaggio attraverso le meraviglie, le culture e i conflitti ecologico/sociali dei Paesi rappresentati. L’allestimento, dedicato agli indigeni australiani e agli abitanti delle Isole del Pacifico, è stato realizzato con il supporto dei discendenti degli autori delle opere, incontrati proprio dal sacerdote. Stefania Pandozy, responsabile del Laboratorio di restauro polimaterico dei Musei Vaticani, sottolinea il senso della scelta: «Ci hanno insegnato che il nostro sistema culturale è molto fragile. Hanno conoscenze ancestrali e profonde. Da quell’incontro di visioni diverse è nata una grande voglia di ristrutturare completamente il museo e padre Mapelli si è fatto artefice di questa rivoluzione».

Parole d’ordine del rinnovamento: trasparenza e riconnessione. La prima emerge dall’assenza di barriere, con ampi spazi carichi di luce, senza punti di chiusura nelle vetrine e opere libere dall’ingombro dei classici sostegni. La seconda emerge appunto dall’incontro con i discendenti di coloro che hanno inviato le opere. Vi è anche una sezione dedicata ai non vedenti, i quali possono “avvicinarsi” all’opera ed entrare in contatto con essa attraverso riproduzioni di opere, profumi e suoni che rievocano Paesi distanti.

Dalla mostra permanente dedicata all’Oceania scaturisce una riflessione su alcuni temi molto cari a Papa Francesco: il dialogo con i popoli indigeni e la cura della casa comune. Il viaggio va dalla Polinesia alla Melanesia, dalla Micronesia alla Nuova Guinea e dall’Australia alla Nuova Zelanda. Con l’attenzione all’impatto antropico nei confronti dell’ambiente e delle minoranze. «Una volta giunti in Australia», afferma padre Mapelli, ci si presenta davanti agli occhi il mondo spirituale degli aborigeni australiani. Nella visione di vari gruppi, gli antenati hanno camminato sul territorio australiano lasciando molti segni e, una volta giunto il momento di andarsene, trasformandosi nella realtà naturale. Dunque, per gli aborigeni australiani, la natura è molto importante perché non rappresenta solo terra e acqua, ma è l’antenato stesso; il quale viene estirpato e dissacrato con i soprusi ambientali. Per questo motivo gli aborigeni lottano fortemente contro le attività che creano danni ai luoghi per loro sacri. L’Australia è uno dei principali produttori di uranio e le comunità stanno avviando forti lotte contro i depositi delle scorie radioattive, progettate nelle riserve dei nativi. Altra tragedia è quella degli esperimenti nucleari (7 esplosioni) che gli inglesi fecero in Australia. Il Pacifico è stata una delle zone più martoriate dai test atomici americani e inglesi in Micronesia, e francesi in Polinesia».

Il viaggio nel Museo si conclude nel laboratorio di restauro, composto da un’équipe tutta al femminile. Dal 1997 ha permesso di conservare oltre 60mila manufatti. Per Stefania Pandozy «padre Mapelli difende la conservazione del bene tangibile ed intangibile attraverso la politica di riconnessione; il laboratorio opera questa difesa individuando e approfondendo il valore dell’opera nella cultura di origine, affatto scontato come per le opere occidentali, e attraverso una politica del “minimo intervento”. Il laboratorio è riuscito a conservare i pigmenti naturali di alcuni manufatti presenti nel Museo così da permettere ai popoli indigeni la possibilità di ammirare nuovamente i colori di un tempo. Risultato apprezzato dai diretti interessati. «Si sono emozionati molto alla vista dei colori ritrovati, e ci hanno permesso di esporli nel Museo. Anche questa diviene anche un’operazione culturale di grande valore». (Beatrice Martini)

26 ottobre 2020