Medici senza frontiere parla di «spostamento forzato di migliaia di rifugiati», «mancanza di informazioni fornite sulla loro destinazione», e ancora, «restrizione imposta all’assistenza umanitaria durante questo processo». La richiesta alle autorità greche è di «garantire un’adeguata e costante assistenza durante il dislocamento delle persone dal campo informale alle nuove collocazioni». Le équipe di Msf infatti hanno riscontrato stati di ansia tra molti pazienti a cui è stato chiesto di andar via senza informazioni chiare sulla loro destinazione. A Idomeni ci sono persone con malattie croniche come diabete ed epilessia e ora sono preoccupati per il rischio di interrompere le cure e incerti sulle strutture mediche disponibili nel luogo in cui andranno. Le équipe hanno inoltre difficoltà a trasferire i pazienti in ospedale, poiché quelli che lasciano il campo non hanno il permesso di tornare e un trasferimento potrebbe separarli dalle loro famiglie.

Msf e altre ong hanno al momento un accesso limitato al campo con un numero ridotto di personale autorizzato a entrare, mentre i volontari sono stati completamente espulsi. In queste condizioni servizi di base come quelli igienici e la distribuzione di cibo potrebbero non essere del tutto assicurati.  «Chiaramente questa non può essere considerata un’evacuazione volontaria poiché le persone non hanno altra scelta e l’assistenza al campo è stata drasticamente ridotta», dichiara il capo missione di Msf in Grecia Loïc Jaeger. «Inaccettabile», per Jaeger, che «si faccia pressione sul popolo rassegnato e disperato di Idomeni. Vorremmo dire loro che saranno in grado di riunirsi con le loro famiglie in Europa, che avranno accesso a una protezione adeguata, ma non possiamo – continua -. Non possiamo nemmeno rassicurarli sulle condizioni che troveranno nei nuovi campi. Spostare i rifugiati da un campo informale a uno formale non è la soluzione». In Europa, nel 2016, è la conclusione del capo missione, «i rifugiati non dovrebbero vivere nelle tende, le loro richieste di asilo dovrebbero essere accolte e dovrebbero avere una casa dove poter ricominciare a vivere, al sicuro».

27 maggio 2016