Mozart, tra ispirazione e studio, genio e applicazione

La lezione concerto dedicato all’ultimo anno della vita del compositore salisburghese, organizzata dal Servizio diocesano per la cultura e l’università

Ispirazione e genio coltivati con studio e applicazione costanti, anche alla luce di una fede profonda. Sono questi gli aspetti artistici e umani di Wolfgang Amadeus Mozart evidenziati ieri sera, 18 febbraio, nel corso della molto partecipata “lezione-concerto” che ha avuto luogo nella chiesa di Sant’Ignazio in Campo Marzio, subito dopo la Messa presieduta dal cardinale De Donatis nella memoria liturgica del Beato Angelico, patrono degli artisti.

Messa e lezione-concerto nella chiesa sant'Ignazio, Andrea Lonardo, Francesco d’Alfonso, 18 febbraio 2020Organizzato dal Servizio per la cultura e l’università del Vicariato, nel 250° anniversario del viaggio del compositore a Roma, durante il quale visitò anche la Cappella Sistina, l’incontro ha inteso indagare in particolare “L’ultimo anno della vita di Mozart”, il 1791,«un anno ricchissimo di lavoro per il genio di Salisburgo – ha spiegato monsignor Andrea Lonardo, direttore del Servizio diocesano – che scrisse un numero enorme di opere con la impellente necessità di venderle per vivere e mantenersi, dato che lavorava come libero professionista, su commissione».

Con l’intenzione di de-costruire alcuni miti e luoghi comuni sulla figura di Mozart, Lonardo ha dapprima sottolineato come «si nasconde spesso la serietà e la costanza del suo lavoro, immaginandolo semplicemente come un fortunato bambino prodigio» mentre «la sua dedizione e il suo impegno, innegabili per la qualità di quanto ha prodotto, mostrano, specie ai giovani, come non c’è niente di grande che si possa realizzare senza passione e senza lavorare a testa china». Ancora, il direttore del Servizio diocesano ha osservato come «è stato facile dare di Mozart un’interpretazione massonica, considerando quindi false e non attendibili le sue opere di stampo cattolico» ma in realtà «egli aderì alla massoneria solo nel 1784, perché non aveva soldi e così, semplicemente, era certo di riuscire ad ottenere più ingaggi». È invece evidente «una sua reale adesione alla fede – ha aggiunto Francesco D’Alfonso, addetto del Servizio diocesano -: basti pensare che Mozart ha composto 34 brani sacri e 18 Messe».

Messa e lezione-concerto nella chiesa sant'Ignazio, Andrea Lonardo, Francesco d’Alfonso, 18 febbraio 2020Se nel corso della serata sono state eseguite, come da intenzioni programmatiche, tutte composizioni del 1791, è stata fatta un’eccezione per “Et incarnatus est” della Messa in do minore del 1783, «che abbiamo voluto inserire perché è importante proprio per capire l’animo profondamente religioso di Mozart», ha continuato D’Alfonso: «La scrisse infatti senza alcuna commissione, per ringraziare Dio per i numerosi doni che aveva ricevuto, pensata per sua moglie Constanze che era un soprano». Eseguiti inoltre brani dal Concerto per clarinetto e orchestra K622, dal Die Zauberflöte, dalla Messa da Requiem e l’Ave verum corpus K618. Al pianoforte Antonio Maria Pergolizzi mentre al clarinetto Ermanno Veglianti. Le voci erano quelle del soprano Stella Alonzi e del tenore Domingo Pellicola che si sono cimentati anche in due momenti del II atto del “Flauto magico”, «una fiaba d’amore – ha chiosato ancora Lonardo – pensata per parlare al cuore del popolo in maniera semplice, attraverso il registro dello scherzo e dell’allegoria, ben lontana, quindi, da intenti massonici elitari».

Messa e lezione-concerto nella chiesa sant'Ignazio, Andrea Lonardo, 18 febbraio 2020

Infine, alcune riflessioni sulla leggenda della morte di Mozart, che lo vuole assassinato dal “rivale” Antonio Salieri, compositore e insegnante veneziano, a partire dall’interpretazione della piece teatrale di Aleksandr Puškin da parte degli attori Paolo Sangiorgio e Davide Fasano, allievi dell’Accademia nazionale “Silvio D’Amico”, diretti da Andrea Giuliano. «Mozart morì di malattia – ha concluso Lonardo – ma l’opera teatrale “Mozart e Salieri” è interessante, al di là della leggenda non vera e il cui unico elemento di verità resta la grandezza del salisburghese, perché porta in scena il tema dell’invidia e mette in luce una domanda di senso e universale ossia perché Dio riservi e doni solo ad alcuni la grazia dell’arte».

19 febbraio 2020