Morto don Roberto Sardelli

Sacerdote, scrittore, educatore, aveva speso la sua vita con gli ultimi. Nella Roma del ’68, tra le baracche dell’Acquedotto Felice aveva fondato la “Scuola 725”

Si è spento questa mattina, 19 febbraio, a Pontecorvo, in provincia di Frosinone, don Roberto Sardelli. Alunno del Collegio Capranica, sacerdote dal 1965, scrittore, educatore, aveva frequentato la scuola di Barbiana di don Lorenzo Milani, prima di recarsi in Francia per studiare l’esperienza dei “preti operai”. Nella Roma dei primi anni ’70 poi ha scelto di vivere il suo ministero accanto agli ultimi, condividendo la loro vita: inviato nel 1968 nella parrocchia di San Policarpo, aveva scoperto, a pochi passi, la baraccopoli che sorgeva nei pressi dell’Acquedotto Felice, dove vivevano 650 famiglie italiane arrivate da Sicilia, Calabria, Abruzzo e Basilicata. Quindi, acquistata una baracca da una prostituta, si trasferì a vivere qui e la trasformò nella “Scuola 725”, dal numero civico del casotto. Nove metri quadrati, nei quali si realizzò «una delle più straordinarie iniziative di pedagogia popolare in Italia nel secondo dopoguerra», ha commentato conferendogli la laurea “honoris causa” in Scienze pedagogiche nel novembre scorso Massimiliano Fiorucci, direttore del dipartimento di Scienze della formazione dell’Università Roma Tre. Alla cerimonia il sacerdote, già 83enne, non aveva potuto partecipare. Al suo posto, avevano ritirato il riconoscimento due ex allievi, Emilio Bianchi e Angelo Celidonio, che negli anni ’60 vivevano in agglomerati di lamiere nell’estrema periferia di Roma, senza luce, acqua e fogne.

«Proposi ai ragazzi lo studio come leva per uscire da una situazione umiliante in cui la città del centro li aveva gettati», scriveva don Roberto nella sua lectio magistralis, in occasione della laurea “honoris causa”. La Scuola 725 infatti accoglieva quei bambini che nella scuola pubblica che frequentavano al mattino finivano spesso nelle classi differenziali. «Non fu facile, né potevo pretendere che capissero subito – proseguiva il racconto del sacerdote -. Puntai tutto sull’orgoglio, sulla loro potenziale intelligenza che aveva bisogno di una spinta dall’esterno per manifestarsi, sul riscatto come conquista e non come elargizione dall’alto. Studio a tempo pieno: non si trattava solo di recuperare gli anni perduti in una scuola pubblica che li considerava perduti – le parole di don Sardelli – ma di aiutarli a prendere coscienza della situazione che li aveva discriminati e in cui si trovavano, non per loro scelta». E proprio con i ragazzi della scuola scrisse la “Lettera al sindaco”, indirizzata all’allora primo cittadino Rinaldo Santini per chiedere migliori condizioni di vita per i baraccati, ai quali le case popolari furono assegnate nel 1974. Da quel lavoro di riflessione e scrittura nascerà anche un libro: “Non tacere”, che darà il titolo anche al docufilm realizzato nel 2005 da Fabio Grimaldi sulla vicenda della Scuola 725. Quella lettera, spiegava don Roberto nella sua lectio per Roma Tre, provocò «un terremoto politico senza precedenti e il convegno sui mali di Roma aveva le sue radici nella missiva».

Conclusa l’esperienza della baraccopoli, con l’assegnazione delle case popolari, don Sardelli si è occupato di malati di Aids e di rom, fedele alla sua scelta di condividere l’esistenza con gli ultimi. Quindi è tornato nella sua Pontecorvo, dove domani, 20 febbraio, alle 10 si svolgerà la Messa di esequie, nella chiesa di San Nicola.

19 febbraio 2019