Monsignor Serenari, l’apostolato sui luoghi di lavoro

Morto a 88 anni il sacerdote che guidò la pastorale sociale nel Lazio. I funerali presieduti da Apicella. Il ricordo dell’incaricato diocesano

Fabbriche, aziende e il mondo delle ferrovie sono state il suo campo di apostolato per tutta la vita, testimoniando che «non solo è possibile portare Gesù sui luoghi di lavoro, ma che è necessario farlo». Monsignor Francesco Pesce, incaricato dell’Ufficio per la pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Roma, riassume così il testamento spirituale lasciato da monsignor Giorgio Serenari morto sabato 24 aprile a 88 anni. I funerali, presieduti da monsignor Vincenzo Apicella, vescovo di Velletri – Segni e membro della Commissione episcopale Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, si sono svolti ieri, 26 aprile, nella parrocchia Nostra Signora di Guadalupe a Monte Mario.

Uomo «mite, gentile e riservato, dai tratti nobiliari», monsignor Serenari era nato a Bologna l’11 gennaio 1933. Dopo gli studi nel Seminario per la formazione dei Cappellani del Lavoro, aveva approfondito filosofia e teologia nel Pontificio Seminario Regionale di Bologna oltre che a perfezionarsi in scienze sociologiche. Ordinato sacerdote il 25 luglio 1955, rimase per 11 anni nella diocesi di Bologna e si divideva tra l’apostolato in alcune fabbriche e il suo incarico di vice rettore del seminario dell’Onarmo (Opera Nazionale Assistenza Religiosa e Morale agli Operai) lo stesso in cui studiò don Tonino Bello. Nel 1966, don Serenari giunse a Roma dove ha tra l’altro operato nelle fabbriche della zona industriale di via Tiburtina. È stato responsabile regionale per il Lazio della Pastorale sociale e del lavoro, giustizia e pace, salvaguardia del creato fino al 2009, coordinatore nazionale dei cappellani dei ferrovieri e cappellano della stazione Termini.

Per descrivere in modo più incisivo il ministero sacerdotale di don Giorgio, monsignor Pesce ricorda la storica omelia di Papa Paolo VI tenuta la notte di Natale nell’ex Ilva di Taranto. Papa Montini affermò che «il lavoro e la religione, nel mondo moderno, sono due cose separate, staccate, tante volte anche opposte» aggiungendo poi che questa separazione «non deve esistere». Monsignor Serenari «ha incarnato l’invito di Paolo VI spendendosi senza riserve per non far disperdere la figura del cappellano del lavoro», dice Pesce.

Con la morte di don Giorgio, Eleonora D’Urso, animatrice del centro di ascolto del Vangelo del Gruppo Ferrovie dello Stato, perde «un padre». Monsignor Serenari, infatti, era subentrato «con discrezione» alla paternità spirituale e autentica che la donna aveva sperimentato con monsignor Oliviero Pelliccioni morto a Roma il 17 dicembre 2019, anch’egli a lungo impegnato nella pastorale sociale e per anni al fianco di monsignor Serenari. «È difficile incontrare un santo sulla terra – dice -, io ho avuto la grazia di incontrarne due. Don Giorgio mi ha trasmesso l’attrazione della santità. Nei suoi occhi c’era la visione bella del paradiso». Eleonora mette in evidenza che tanto monsignor Oliviero quanto monsignor Giorgio avevano una vita «scandita dalla preghiera e dall’attenzione al prossimo. Due vite straordinarie donate agli altri».

Di don Giorgio mette in risalto l’umiltà, il suo essere «santo del nascondimento», virtù di cui parla anche don Luigi Antonio Malorgio, cappellano dell’Atac. «Era una persona servizievole e sempre disponibile – dice -. Svolgeva il suo ministero in tante piccole aziende ma sempre in modo silenzioso, dietro le quinte».

27 aprile 2021