Monsignor Galantino: il servizio civile, «fatto culturale»

Il segretario generale Cei commenta i 46mila posti di quest’anno. «Per le nostre realtà opportunità incredibile di incontro con le nuove generazioni»

Il segretario generale della Cei commenta i 46mila posti per quest’anno. «Per le nostre realtà è un’opportunità incredibile di incontro con le nuove generazioni»

«Un fatto culturale». Per il segretario generale della Cei monsignor Nunzio Galantino, intervenuto questa mattina, giovedì 12 marzo, all’incontro organizzato dal Tavolo ecclesiale sul servizio civile, è anzitutto questo il senso del servizio civile: un «valore aggiunto al servizio», altrimenti «si perpetua la storia di dover chiedere per favore quello che dovrebbe essere dato per diritto. Questo rischia di creare alleanze adulterine».
La riduzione delle risorse che lo Stato ha destinato a questo settore dal 2008, ha evidenziato davanti ai responsabili delle organizzazioni che aderiscono al Tavolo, tra cui Caritas italiana, «è stata tutt’altro che secondaria»: i numeri parlano di un -400%. Il risultato: una conseguente diminuzione quantitativa dei giovani in servizio civile, che nel 2013 sono stati soltanto 896. La Legge di stabilità per quest’anno «fa ben sperare», ha commentato il segretario Cei, visto che si parla di 36mila posti, ai quali se ne aggiungono 700 per l’estero, 1.000 del servizio civile per ciechi e grandi invalidi, 300 Corpi civili di pace e 140 per un servizio civile ad hoc legato a Expo 2015. Sommando anche i 7mila del programma “Garanzia giovani”, quest’anno dovrebbe essere superato il numero record di invii – 46mila – di nove anni fa. «Ma questo non mi fa gioire – ha precisato Galantino – se penso agli 896 di un anno e ai 36mila di un altro, con un andamento ondivago».
«Indubbiamente positivo», per il presule, il fatto che la durata dell’impegno sia rimasta di un anno: insieme all”investimento finanziario attuato è un riconoscimento della «bontà di questo istituto nei suoi fondamenti di partecipazione attiva e responsabile al bene comune, un volàno di impegno civile per decine di migliaia di ragazze e ragazzi». L’impoverimento arriva «da chi si riduce a considerare il servizio civile alla stregua di un avviamento al lavoro o di una supplenza ai ritardi e alle falle delle istituzioni pubbliche: su questo duplice fronte avvertiamo che rimane ancora da promuovere un lavoro culturale non indifferente». Di contro invece, «per le nostre realtà, a partire dalla Caritas, questa scelta è un’opportunità incredibile di incontro con le nuove generazioni; di proposta di un preciso stile di vita nonché di impegno responsabile nei confronti degli altri».
L’invito è quindi quello di «portare avanti questa esperienza puntando a costruire reti efficaci di relazioni sul territorio, soprattutto oggi in cui è accelerata la voglia di protagonismo e la frammentazione. Uno degli scandali di oggi – ha osservato – è la mania di protagonismo, dover per forza arruolare gente sotto la nostra bandiera, dentro e fuori dalla Chiesa. La rete deve diventare invece una sorta di sana fissazione».
12 marzo 2015